La moglie, l'amante, l'amica:
quasi perfette
le donne di Madeleine St John
Dopo “Le signore in nero”, le commesse di un grande magazzino che nell’Australia degli anni Cinquanta, cercavano l’indipendenza e la realizzazione in un mondo dominato da ipocriti e rigidi codici maschili, uscito per la prima volta in edizione italiana nel 2019 e diventato per passaparola un piccolo caso editoriale, Garzanti propone il secondo libro di Madeleine St John, “Una donna quasi perfetta”, pubblicato nel 1996 (il titolo originale è “A pure clear light”), tre anni dopo il precedente, nella traduzione di Mariagiulia Castagnone.
È un piacere scoprire o riscoprire la penna affilata e ironica di questa scrittrice, aguzza e mai soffocante femminista e prima australiana candidata al Man Booker Prize, che esordì ultracinquantenne, a Londra, dove si era trasferita lasciandosi alle spalle un’infanzia segnata dal suicidio della madre, depressa e alcolizzata, un padre anafettivo e distante, un matrimonio fallito.
Seguendo il percorso della scrittrice, abbandoniamo l’Australia, ambientazione solo del primo dei suoi quattro romanzi, e ci ritroviamo in una Londra intellettuale e alto borghese, che St John disseziona dal suo osservatorio privilegiato, le librerie e gli antiquari di Notting Hill e Kensington, dove visse - lei fumatrice accanita, elegante e snob, amante delle delicatessen di Harrods - con alterne fortune facendo la commessa, fino alla morte, a 64 anni nel 2006, per enfisema.
Madeleine St John |
La storia. Flora, mamma di tre figli, mentre per noia rispolvera la fede religiosa, non si rende conto che il marito ha trovato altrove ciò che tra loro riscalda saltuariamente solo il gin. Simon, sceneggiatore velleitario e partner tiepido ed elusivo, a sua volta riscopre qualcosa fuori dalle mura domestiche, la tempesta del desiderio rotolandosi sui tappeti con Gillian, commercialista della City, indipendente nel lavoro e nel privato. Lydia, l’amica di Flora, che Simon detesta perchè bruttina e poco curata, in realtà ai suoi occhi ha una ben più fastidiosa, duplice colpa: aver inopinatamente risvegliato in lui il desiderio, con l’impulso di baciarla, e averlo sorpreso in un locale con l’amante.
Il romanzo si apre mettendo in scena tutti i protagonisti di questa rarefatta commedia delle parti, quando quel poco che accade nel libro è già tutto accaduto: la coppia clandestina in un ristorante, Gillian che nota l’occhiata insistente di una sconosciuta dall’altro capo della sala, Simon a cui lo specchio rimanda il volto familiare dell’amica della moglie.
È qui il “quasi” del titolo: il quasi di un uomo che sa di non voler scegliere («Flora e i ragazzi erano la bandiera che orgogliosamente sventolava sull’orlo dell’abisso”), il quasi dell’«altra», che vorrebbe di più che “essere scopata fino a istupidirsi”, ma preferisce accampare la sua autonomia che metterlo alle strette, il quasi dell’amica che tace l’adulterio scoperto, suo malgrado attratta dalla doppiezza del “verme”, del “vero porco”. E anche Flora ha un “quasi” che si insinua nella perfezione di organizzatrice familiare, madre presente, imprenditrice: «Come faceva da tanto tempo, tenne per sé la sensazione dolorosa che qualcosa non andava, qualcosa che non era in grado di identificare, a cui non poteva porre rimedio».
Quando Lydia cattura lo sguardo di Simon in quel ristorante tutte tre le donne dovranno scegliere come porsi di fronte all’unico uomo che le lega: Lydia si vendica e pretende la rottura con l’amante in cambio del suo silenzio con l’amica. Ma la parola fine l’ha già pronunciata Gillian: «Proprio non capisci, vero? Che dover raccontare una storia plausibile è brutto, bruttissimo. Sai, mai scusarsi, mai spiegare - una volta che si imbocca quella strada, è tutto finito. Mi dispiace ma è così». E Flora?
Con una scrittura lieve, perfidamente salottiera, Madeleine St John ci introduce negli interni eleganti dei quartieri alti di Londra, ci fa partecipare ai fitti scambi di battute che impastano ipocrisia e borghese decoro, allontanando qualsiasi sospetto, qualsiasi “quasi” possa intaccare l’armonia del quadro familiare, del ruolo sociale conquistato, delle aspettative che un deragliamento portato allo scoperto potrebbe diminuire. St John non demolisce l’istituzione del matrimonio, su cui è scopertamente scettica, piuttosto ne registra con acume gli impercettibili smottamenti, l’inaridirsi dei rivoli, il senso di colpa sufficiente al maschio per assolversi. E si schiera sempre dalla parte delle sue donne, anche quando la ricerca della felicità finisce per essere solo la resilienza che impedisce il disastro coniugale.
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