sabato 3 ottobre 2020

L'INTERVISTA

Joël  Dicker e la nonna triestina che lo ha spinto

a scrivere (bestseller da milioni di copie...) 

 

 


 

 

L’indizio per il lettore, come fa spesso, l’ha disseminato nell’ultimo thriller “Il mistero della stanza 622” (La nave di Teseo), da settimane in classifica tra i libri più venduti, in Italia e all’estero: la madre del protagonista è nata a Trieste. E anche le radici di Joël Dicker, trentacinquenne scrittore svizzero, autore di bestseller da milioni di copie nel mondo (a partire da “La verità sul caso Harry Quebert”, Bompiani, diventata una serie di grande successo su Sky, protagonista Patrick Dempsey), sono potentemente triestine. Anche se lui, nella città dell’amata nonna, non c’è mai stato. Almeno finora, perchè nei progetti a breve della famiglia c’è una “rimpatriata”, con qualche amico da ritrovare.

 


 


La citazione di Trieste è dunque un omaggio alle sue origini?
Sì, il riferimento è a mia nonna, Noemi Spierer, ebrea, arrivata in Svizzera nel 1939 con la sua famiglia, perché le leggi razziali le impedivano di continuare gli studi. Aveva 13 anni quando ha lasciato Trieste insieme ai genitori e alle sorelle. A Ginevra ha conosciuto Vladimir Wolf Halperin con cui si è sposata. Hanno avuto tre figli, due maschi Daniel e Michel, e una femmina, Miriam, mia madre, sposata con Pierre Dicker.


Anche il lato Dicker è ebreo e discende da Jacques, avvocato e leader socialista degli anni ’30. Qual è il suo rapporto con l’ebraismo? Io sono ebreo. Non osservo la kasheruth, i precetti sul cibo, ma osservo le tradizioni anche in omaggio a mia nonna Noemi.


Che è stata poi quella che l’ha spinta alla scrittura. La stanza da dove mi parlate (Dicker sorride, l’intervista è via Skype) mi ricorda il salotto di mia nonna, pieno di libri e di giornali, dove lei amava leggere.


E dove lei pure scriveva…Sì, lei mi ospitava quando, invece di andare a seguire le lezioni all’università, preferivo scrivere. Poi mi ha riservato un piccolo studio tutto per me…


Sua nonna era legata a Trieste? Molto, ci tornava spesso per le vacanze, dopo la guerra, e si interessava alla vita della città che trovava cambiata. Aveva molti amici nel milieu culturale. Ricordo Ugo Pierri, pittore e poeta, che le ha donato alcuni quadri. Ora li ho io, perché la nonna è morta due anni fa.


Pierri ricorda che lei aveva dodici anni quando realizzò un giornalino in rete dedicato agli animali “La Gazette des animaux”, che le valse la nomina di più giovane redattore capo svizzero dalla Tribune de Geneve... Anche in quella iniziativa fu mia nonna a sostenermi. Ricordo ancora con emozione le lunghe telefonate che lei faceva con Pierri in italiano. Non capivo cosa si dicevano, ma capivo che lei era molto contenta e divertita.


Suo zio, Daniel Halperin, racconta che nonna Noemi era molto amica di Anita Pittoni, creatrice di moda, editrice, scrittrice, decoratrice.  Ne so poco, veramente, perché sono cose avvenute prima che io nascessi, so che lei l’ha voluta aiutare. Lo zio Daniel dice che la nonna voleva creare a Trieste una sezione dell’Ort (Obschestvo Remeslevono i zemledelcheskovo Trouda), cioè la Società per lo sviluppo dell’artigianato e dell’agricoltura, fondata nel 1880 a San Pietroburgo da filantropi russi, tra cui il barone Gunzburg, per promuovere la formazione tra i giovani ebrei nel mondo. Ho sentito dire che Anita Pittoni avrebbe dovuto dirigerla, proprio per le sue esperienze nell’artigianato artistico. Dopo varie peregrinazioni la Fondazione spostò la sua sede a Ginevra. È la fondazione per la quale lavorava mio nonno, Vladimir Wolf Halperin. 


Una bella coppia… Mia nonna era una donna piena di interessi e nonno era un gentiluomo di antico stampo. Ho avuto molta fortuna con i miei familiari. I miei nonni e i miei genitori mi hanno sempre sostenuto, non mi hanno mai detto: “Smettila di scrivere e trovati un lavoro”.


Suo padre era insegnante di letteratura e di inglese e sua madre bibliotecaria. Però lei si è laureato in legge… Ma non sono mai andato in tribunale, ho lavorato come assistente parlamentare e questo mi ha lasciato anche tempo per scrivere…

 


 


È mai venuto a Trieste? Purtroppo no, mio zio Daniel sta organizzando un viaggio di famiglia per la primavera, sperando che sia finita con la pandemia. Lo zio racconta che la nonna collaborava con giornali svizzeri scrivendo articoli su Trieste.
 

Ginevra, la sua città natale, insieme a Verbier sulle Alpi, è lo scenario del suo ultimo noir…I miei libri precedenti non riguardano Ginevra perché sentivo il bisogno di un distacco dal luogo dove ambiento le mie storie. Ma sono svizzero ed era giusto che rendessi omaggio alla mia città.


E ha fatto omaggio anche al suo editore Bernard de Fallois, usando uno stratagemma: lo scrittore che diventa egli stesso personaggio del libro e nel contempo racconta come si sviluppa il romanzo. Curioso…. Dovevo ricordare de Fallois, che è morto nel 2018. Lui ha creduto in me, mi ha spronato. Io mi sento un suo discepolo. E nel contempo ho fatto omaggio alla mia famiglia, a partire da mia nonna Noemi, che mi ha formato e fatto di me quello che sono.


Come fa a scrivere storie così lunghe e complesse, a tenere insieme tanti personaggi, a rovesciare la trama? Avverto una pulsione insopprimibile a scrivere: è come aver fame e chiedersi: che cosa mangio? Vado a vedere in frigo che cosa c’è, poi faccio la spesa e poi cucino. Dunque prima c’è la pulsione, poi c’è l’idea, la raccolta dei dati necessari e infine la scrittura.
 

Lei torna indietro per correggere, eliminare incoerenze, magari anche sopprimendo molte pagine. E fa lo stesso per inserire indizi a beneficio del lettore...
È un continuo lavoro di scrittura e riscrittura. Non so se è un metodo, so soltanto quello che non voglio scrivere. E il lettore deve “entrare” nel libro.


È vero che quando ha finito un romanzo pensa di non volerne più scrivere un altro? Poi però arrivano il desiderio, la voglia irrefrenabile di cominciare una nuova storia. A che punto siamo ora? Prima ho fatto l’esempio del cibo. Adesso sono alla fase che mi sta venendo fame…. 

 

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