giovedì 11 febbraio 2021

L'ANNIVERSARIO

 

Ottavio Missoni, cent'anni fa nasceva

il velocista della vita

 

 Ottavio Missoni alle Olimpiadi di Londra del 1948 finalista nei 400 metri a ostacoli

 

 

“Caleidoscopio Missoni”, s’intitolava la mostra che nel 2006 i Musei provinciali di Gorizia dedicarono a “Tai”, omaggio che avrebbe dovuto fare Trieste a uno dei suoi figli, per quanto “adottivo”, più celebri nel mondo. Caleidoscopio, e mai parola fu più azzeccata, perchè nelle sale di Palazzo Attems non c’erano soltanto i quaranta arazzi realizzati da Ottavio, l’intera sua produzione, ma una straniante immersione nel suo mondo, anzi nel mondo “dei” Missoni, un viaggio cromatico da stordire. Righe, zig zag, grafismi, geometrie, patchwork, si rincorrevano su ogni centimetro a disposizione, soffitti e pareti comprese, raccontando l’avventura di una coppia, di un’azienda, di una grande famiglia. I loro colori, che sono un brand e una filosofia. “Te vedi come va la vita: a zig zag” aveva scritto Tai sotto uno dei suoi fulminanti ghirigori, il 22 febbraio 2008, nel libro d’oro del Comune di Trieste, il giorno del conferimento della cittadinanza onoraria.

 

Ottavio Missoni, 1989, davanti a uno dei suoi arazzi. Foto Silvano Maggi

 


“A Trieste iera più facile varar una nave che far una màja”. Lo diceva sempre quando raccontava gli inizi, faticosi, del marchio e il trasferimento a Gallarate, casa e bottega, lui che giocava con i colori e girava col campionario e Rosita a studiare i modelli. E ancora: «Avevamo macchine che le podeva far solo le righe, verticali, orizzontali, diagonali. Poi si sono evolute e facevamo righe orizzontali e verticali contemporaneamente. E abbiamo creato lo “scozzese”. E quando sono arrivate quelle che si muovevano su e zo, su e zo, siamo diventati i Missoni dei zig zag. Insoma, andavimo drio a quel che podeva far le machine...».

 

Ottavio e Rosita Missoni nel 2003, cinquantenario del brand

 


Le straze, come le chiamano i parenti triestini, partono alla conquista del mondo. Quando, nella stagione ’68-’69 mandano in passerella tutto insieme, righe, scozzesi, pois, il caleidoscopio è già nel dna del marchio, il suo segno inconfondibile. È il “Put together”, un intreccio di fili, nella moda e nella vita. Balthus li definisce “maestri del colore”, la nasuta Diana Vreeland, potentissima direttrice di Vogue America, davanti ai loro maglioni scopre che esistono i toni, oltre ai colori. Eppure lui, Ottavio, l’artista dei pupoli, che in tutto il mondo ha sempre parlato triestino, delle giornaliste se la ride. «Ho imparato la lezione a memoria. Quando gli americani mi chiedono “Come sono i colori di Missoni quest’anno?”, io gli rispondo: “Ahh, very exciting”. E quando mi dicono “La linea, la linea?”, io gli faccio: “Ahh, very impressive”. E gò finì. Do parole, sempre quele».

 

Ottavio e Rosita Missoni nel 1982, foto Giuseppe Pino

 


Do parole, sempre quele, le diceva anche per “la mia sposa”, come l’ha sempre chiamata, e l’accostamento non poteva essere che perfetto. «Te sa cossa? Quando me domanda, mi digo: mi son el “creator”. Ma ela, la Rosita, me gà creado mi”.

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