domenica 23 maggio 2021

IL LIBRO

James Lasdun e lo stupro

che ritorna dal passato

Quanto pesa l'onere di credere?

 


 

 

Solo l’ultimo di una lista ormai lunghissima è il caso di Blake Bailey, l’autore della biografia di Philip Roth, accusato da tre donne di averle stuprate molti anni prima. “Il pomeriggio di un fauno”, affilato romanzo di James Lasdun che non lascia respiro al lettore (Bompiani, pagg. 211, euro 16), si muove su questo terreno scivoloso: una presunta violenza accaduta in un passato remoto, di cui non esistono prove se non le versioni contrastanti dell’accusato e dell’accusatrice.


L’autore - poeta, romanziere, ha insegnato scrittura creativa a Princeton e alla Columbia University - mette subito il lettore davanti al problema: “non ci sono le basi per un giudizio obiettivo, il che significa che l’onere di credere pesa per intero su chi ci crede”.
Credere, in questo caso, spetta al narratore, un docente inglese di mezza età trapiantato negli Stati Uniti (non ha nome, ma è facile leggervi lo stesso Lasdun) al quale un vecchio amico, pure lui inglese trasferito a New York, Marco Rosedale, giornalista d’inchiesta di una certa fama e una solida reputazione, racconta un fatto increscioso che lo sta travolgendo: una sua ex assistente, Julia Gault, diventata anche lei giornalista ma ora in declino e con problemi economici, sta per dare alle stampe un memoir in cui lo accusa di stupro.

 

Lo scrittore James Lasdun

 

 Il fatto, secondo la donna, è avvenuto quarant’anni prima in una camera d’albergo di Belfast, dopo una serata alcolica di entrambi per scacciare le immagini che avevano appena ripreso: una ragazza cattolica coperta di pece e piume dai paramilitari Provos per punirla della relazione con un soldato inglese. I due salgono in camera, fanno sesso. Questa è l’ammissione comune, ma da qui tutto diverge: per Marco un rapporto consensuale e nemmeno limitato a quell’unica volta, per Julia una violenza fatta di mani rapaci su tutto il corpo. “Se la memoria non m’inganna, finì tutto molto in fretta”, scrive nel libro.


Marco si confida con l’amico, raccontandogli l’accusa e un fatto intimo ancora più lontano nel tempo, una sorta di iniziazione sessuale ricevuta dalla sua tutor d’antropologia all’Università. La docente, esplicitamente, pretese da lui brutalità e tenerezza nell’amplesso, assicurandogli che questo approccio avrebbe fatto impazzire qualsiasi donna. Il narratore ascolta e comincia il rovello. La brutalità, se c’è stata, è stata violenza? E la “riluttanza” di Julia, fidanzata con un coetaneo, se riluttanza c’è stata, era in realtà un rifiuto?
Intanto, mentre Marco mette in campo una potente artiglieria per bloccare il libro di Julia - il padre è un celebre avvocato della Corona - il narratore/autore comincia la sua indagine. Le confessioni dell’amico l’hanno trascinato nel conflitto tra i due, hanno eroso la sua neutralità, interrogano la sua coscienza e gli chiedono di schierarsi. L’onere di credere, scivola nell’onere di dubitare. Julia non gli è estranea, la conosce da quando la donna, agli inizi della carriera, frequentava a Londra il salotto di sua madre e nei suoi confronti aveva provato un’infatuazione adolescenziale. Non può non incontrarla, ma la versione di lei rende la storia ancora più inafferrabile, i contorni più sfuggenti. Marco il giovane fauno affamato di vita del poema di Mallarmé o un satiro bavoso? “Non stava pensando a me”, gli riferisce Julia raccontando quella notte con Marco, e la frase continua a tormentare il narratore.


Impossibile dire di più per non rovinare il finale a sorpresa del romanzo, che intrappola il lettore nelle sfaccettature di una verità inevitabilmente binaria. È interessante l’ambiente in cui si muovono i personaggi, dalla Londra dell’alta borghesia intellettuale alla New York liberal e democratica di scrittori e artisti. Siamo nel 2016, il movimento #MeToo sta prendendo corpo. La storia si chiude col confronto televisivo tra Trump e Hillary Clinton, quando il futuro presidente quasi aggredisce fisicamente l’avversaria e il parterre radical chic, tra cui ci sono Marco, il narratore e le rispettive mogli, pensa che la performance abbia sepolto i repubblicani e allontanato il pericolo del “miliardario del cazzo” alla Casa Bianca.


Alcuni giorni fa Lady Gaga, nel primo episodio della docuserie di Oprah Winfrey e del principe Harry sull’app Apple+, ha aggiunto nuovi particolari alla confessione, fatta nel 2014, di essere stata violentata e lasciata incinta da un produttore musicale, di cui non ha mai fatto il nome, agli inizi della carriera, quando aveva diciannove anni. Un trauma psico-fisico non ancora superato. “L’onere di credere” pretende prezzi sempre più alti.

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