martedì 8 gennaio 2013

IL LIBRO

Gianni Versace: Mutatiónx a Trieste, una prima per l'ultima passerella

Fu un omaggio postumo e anche l'ultima, spettacolare passerella di Gianni Versace. Era il 7 febbraio 1998 e al Teatro Verdi di Trieste debuttava, in prima mondiale, "Mutatiónx", il nuovo balletto di Maurice Béjart con i costumi che lo stilista calabrese aveva iniziato a disegnare prima del suo assassinio.

"Mutatiónx" di Maurice Béjart al teatro Verdi di Trieste con i costumi di Gianni Versace
Non erano trascorsi nemmeno sette mesi da quel 15 luglio 1997, quando Versace fu freddato con due colpi di pistola da Andrew Cunanan, alle 8.30 del mattino, sui gradini di Casa Casuarina, la sua villa di Miami. In quella torrida estate in Florida, i costumi per l'amico Béjart erano ancora solo dei bozzetti, ma dopo l'omicidio di Gianni i fratelli Santo e Donatella, insieme al compagno dello stilista Antonio D'Amico, e a tutto l'atelier Versace, avevano deciso di portare a compimento il lavoro iniziato, di trasformarli in abiti di scena.
Trieste fu la cornice di quel tributo alla memoria. Sul palcoscenico del Teatro Verdi, scenario del debutto internazionale del balletto e dell'unica tappa italiana, davanti a Santo arrivato per l'occasione, i danzatori si muovevano in tute di latex nero con tagli futuribili, che scoprivano pezzi di pelle e di colore, e in pepli assimmetrici dalle tinte violente. Quasi profeticamente nei confronti del destino dell'amico sarto, Béjart immagina gli ultimi momenti dell'umanità sulla Terra, quando un manipolo di sopravvissuti alle guerre e alle devastazioni ecologiche, prima di imbarcarsi su un'astronave e lasciare il pianeta, danza il commiato da quello che una volta fu un paradiso terrestre.
La sintonia tra il coreografo e lo stilista è assoluta: costumi aggressivi e tinte fosche per rappresentare l'angoscia per la distruzione dell'ambiente e il destino degli umani, poi il trionfo del colore e una sottoveste trasparente percorsa da applicazioni preziose e filiformi per la speranza che rinasce, come un fiore. «Gianni Versace - disse Béjart - ritaglia sete trasparenti, applica invisibili merletti su pieghe talmente nascoste che solo lui ed io le vedremo... ma nella costruzione artistica è proprio quello che non si vede che fa il capolavoro, è l'inutile che è indispensabile». 


 
"Mutatiónx a Trieste



Fu nella sartoria della mamma Franca, in via Domenico Muratori a Reggio Calabria, che Gianni capì, giovanissimo, quale sarebbe stata la sua strada: la moda e anche la moda pensata per il teatro. Lo racconta il giornalista Tony Di Corcia nel volume "Gianni Versace. La biografia" (pagg. 294, euro 24,00), uscito di recente per i tipi di Lindau, nel quindicesimo anniversario dell'assassinio. Un volume, con un'efficace cronologia conclusiva, che ricostruisce nel dettaglio la carriera dello stilista, soffermandosi anche su quella "parallela" di costumista.
I due ambiti e ambienti si incrociarono, si influenzarono, si scambiarono spunti e idee. Come testimoniò Franco Maria Ricci, l'editore del raffinato "Versace teatro", stampato nel 1987 in edizione limitata di 4.000 copie, quasi un sigillo all'attività del "profano" che aveva osato accostarsi alla sacralità della scena: «La grandezza di Versace come costumista è stata quella di portare la moda in teatro senza fare moda».
Già all'inizio della sua avventura tra le stoffe, c'è qualcosa di teatrale: la meraviglia, la sorpresa, il senso di trepidazione e di aspettativa legato al palcoscenico. A nove anni, un bambino vivacissimo, dagli occhi scuri, se ne sta nascosto dietro la tenda rossa che separa il laboratorio della sartoria dalla sala prove e assiste alla visione che gli cambierà la vita. Sua mamma sta drappeggiando metri di velluto nero sul corpo di una cliente e Gianni ne anticipa le mosse: ora accorcerà un poco il davanti, pensa, e poi darà alla stoffa quella particolare linea. Madre e figlio, separati ma in simbiosi, stanno creando lo stesso vestito nero, quello che per lui diventerà mito, archetipo, l'evento fondante della sua passione, per sempre «l'abito della memoria».
Molti anni più tardi, ormai stilista acclamato per le sue innovazioni, il preferito da Lady D e Madonna, Gianni si ispirerà a quella memoria domestica per il costume della Morte Torchon nello spettacolo "Malraux, ou la métamorphose des Dieux" firmato da Béjart nel 1986, e lo stesso vestito aprirà la mostra al Castello Sforzesco di Milano, nel 1989, intitolata "L'abito per pensare".
I primi costumi Versace furono per il balletto "Josephslegende" alla Scala, con Luciana Savignano e Joseph Russillo. Una sfida: quell'atto unico era stato creato da Richard Strauss per i Balletti Russi di Diaghilev e portato sulla scena da Nijinsky "vestito" da León Bakst.
La diffidenza degli ortodossi dell'abito di scena verso l'intruso Versace era forte, mentre i ballerini accolsero la novità con entusiasmo. Ricorda la Savignano, che venne anche a Trieste, nella serata dell'ultimo omaggio all'amico: «Il dono di Gianni era la consapevolezza del fatto che per un danzatore l'abito è uno stupendo mezzo per esaltare il corpo e il movimento».
Due anni dopo, nell'84, l'incontro con Maurice Béjart e l'inizio di un profondo legame artistico e umano: "Dyonisos", "Malraux", "Leda e il cigno", "Le notti bianche della danza", trasmesse in mondovisione dalla Russia, "Souvenir de Léningrad", con cui, il 21 dicembre 1987, debuttò la nuova compagnia di Béjart, il Ballet Lausanne. E poi "Sissi, l'imperatrice anarchica" Evita Perón e Mishima, "Pyramide". «Béjart è forse l'unico al mondo capace di far ballare un abito - disse Versace - creando movimenti indimenticabili per dargli vita, facendolo diventare un'estensione del corpo. Con Maurice sarò sempre pronto a ricominciare».
Versace lavorò con altri "mostri", tra cui Bob Wilson e Roland Petit, ma il sodalizio con Béjart durò fino alla sua morte. Anzi, attraverso "Mutatiónx", andò oltre: il 25 giugno '97, un mese prima dell'assassinio, Versace e Béjart erano al Giardino dei Boboli di Firenze per "Barocco Belcanto". 


 Nel luglio del '98, il coreografo ammirò per l'ultima volta a Trieste le invenzioni dell'amico sui suoi ballerini.
 "Mutatiónx" di Maurice Béjart
Quella di Versace nel teatro non fu un'incursione. Per la prima volta uno stilista entrava nella confezione di uno spettacolo con scelte estetiche così autorevoli e forti da stare alla pari di quelle musicali e registiche.
Fu una sorta di rivoluzione, a lungo osteggiata. Il celebre costumista Piero Tosi - che aveva "tollerato" le pellicce di Fendi sugli abiti da lui disegnati per "La storia vera della Signora delle Camelie" e "Traviata" di Mauro Bolognini - gli dirà: «Ti sforzi per fare costumi teatrali, ma non illuderti: passerai alla storia solo per le tue creazioni di moda. Tra cento anni, per capire gli anni Ottanta prenderanno i tuoi tailleur, le tue collezioni, non i tuoi costumi per il teatro».
twitter@boria_a



Gianni Versace

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