giovedì 21 marzo 2013

IL FILM

Bellissime anni '50, abbiamo sfilato tra droga e Aids
China Machado, 85 anni

China Machado, nata nel 1929 a Shanghai, splendidi lineamenti ereditati da mamma cinese e papà portoghese ormai smarriti in un reticolo di rughe, fu la prima modella "non caucasica" a comparire sulle pagine delle riviste patinate. Carmen Dell'Orefice, americana, classe 1931, iniziò a quindici anni con un contratto a Vogue per sette dollari e cinquanta e oggi sfila ancora, una massa di capelli bianchi e una linfting dichiarato: «Quando viene giù il soffitto del salotto si ripara». Paulina Porizkova debuttò in culla, nella Cecoslovacchia di fine '60, dove i genitori, espatriati in Svezia al momento dell'invasione sovietica, l'avevano lasciata. Per farla uscire dal paese montarono un caso mediatico e la piccina fu presa d'assalto dai fotografi che le portavano orsacchiotti di peluche e le suggerivano di fare la "faccia triste": le servì, quando appena diciannovenne fu la prima indossatrice dell'est Europa sulla copertina di Sports Illustrated Swimsuit e, poco più tardi, l'icona dei cosmetici Estée Lauder.
China, Carmen, Paulina. Carol Alt, Marisa Berenson, Isabella Rossellini, Jerry Hall. E Pat Cleveland, che all'inizio degli anni '60, sul bus Greyhound in cui viaggiava con altre modelle, per portare le novità modaiole alle clienti afroamericane, all'epoca ignorate dalle riviste glossy, subì gli attacchi dei razzisti del Sud armati di mazze da baseball.
Pat Cleveland
E ancora Beverly Johnson,61 anni scolpiti nell'ebano, l'«antenata» di Naomi Campbell e Imam, prima nera a conquistare il K2 del fashion: la copertina dell'edizione americana di Vogue nel 1974.
È "About Face", un docu-film del fotografo Timothy Greenfield-Sanders che racconta le storie dietro i volti e i corpi che hanno definito la bellezza dagli anni Cinquanta agli Ottanta.
Prima erano solo un numero, quello del modello che sfilavano, poi diventarono personaggi, icone nell'immaginario collettivo. Trasformate dagli stilisti in "top", immortalate dai grandi fotografi, che le consegnarono per sempre alle gallerie dei musei più importanti del mondo. Si inventarono un mestiere che fino al dopoguerra non esisteva, ne fecero un sogno planetario, attraversando pregiudizi, dipendenze, epidemie mortali, l'impietoso marchingegno che ha anche ucciso, stritolato, svuotato, e che continua a condannare molte di loro a perpetuarsi, sotto i ferri del chirurgo, come eternamente desiderabili.
Il film di Greenfield-Sanders è uscito in dvd per Feltrinelli Cinema, accompagnato dal libro "Modelle: una vita in scena" di Luca Scarlini (pagg. 76, insieme al prezzo di 16,90 euro). Una serie di interviste "statiche", per lo più girate in studio, che aprono spiragli sul backstage delle passerelle e ci riconsegnano facce (oneste o stravolte) di un'epoca in cui le indossatrici non erano solo un ammasso indistinto e indistinguibile di zigomi alti, scapole appuntite o sederi di marmo, in genere provenienti dalle economie in emersione, ma le protagoniste del cambiamento nei costumi, nei canoni estetici di un'epoca. Ognuna di loro, sono tredici, confessa errori del passato e scelte del presente, il rapporto con droghe, vecchiaia, bisturi, con un mondo in cui, racconta Isabella Rossellini, già a quindici anni «si dimenticano che sei un'adolescente e ti trattano come una "gattina sexy"».
In principio erano "hookers", battone: in pratica modella e prostituta, per i genitori di Carmen Dell'Orefice, erano la stessa cosa. Racconta Bethann Hardison, una delle prime nere di successo, che sua madre azzardava un "oh che carino" quando la figlia le diceva di fare l'indossatrice, convinta che fosse una metafora garbata per confessarle ben altra attività. Poi la vide in una pubblicità televisiva e rimase di sasso. La Rossellini cominciò con Bruce Weber, a 28 anni, piuttosto tardi, perchè era stata educata a mettere famiglia e maternità al primo posto e a considerare l'esempio della madre Ingrid una sorta di irripetibile vocazione: «Weber mi ha insegnato cos'è la carriera e la disciplina per farla».
Poi vennero le droghe. Jade Hobson, fashion editor, lo ammette: «Abbiamo creato dei mostri». E ricorda Gia Carangi, la splendida top model morta di Aids nell'86, sul cui braccio, durante una posa per il fotografo Francesco Scavullo, gli occhi cadevano sui segni pesanti delle siringhe. «Con la droga non sorridevano più», dice Hobson. «Ma noi le abbiamo strumentalizzate, perchè avevano uno sguardo particolare». Lisa Taylor, resa celebre da tante foto provocanti di Helmut Newton negli anni '70, è oggi una signora defilata che porta sul viso le tracce di una carriera da cui si ritirò all'apice.
Lisa Taylor, over sessanta
Il suo ritratto comparve accanto a un articolo del Daily News dedicato a "The dark side of modelling", in cui si parlava esplicitamente della cocaina: «La prendevano tutti. Mi faceva sentire come se avessi qualcosa da dire».
Hanno attraversato l'Aids, quando, testimonia Paulina, tutti cominciarono «a vestirsi di nero» e poi semplicemente a scomparire. Un mondo che aveva creduto di poter andare per sempre ai "party del giorno dopo", come recita la canzone dei Velvet, si scoprì vulnerabile, mortale. Oggi loro, le prime top del '900, lo rievocano senza rimpianti, trascorrendo con leggerezza dal botox alla famiglia. «Non si tratta solo di bellezza ma di qualcosa che avevano dentro e che era evidente» dice Calvin Klein. E Carmen Dell'Orefice mette il sigillo: «Non ho paura di invecchiare. Prima o poi ce ne andiamo tutti. È che io spero di farlo sui miei adorati tacchi a spillo».
twitter@boria_a

Carmen Dell'Orefice, 84 anni


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