lunedì 9 novembre 2015

 MODA & MODI

Fashion Fast & Furious


Fast è il denominatore comune tra i due argomenti che hanno galvanizzato le cronache modaiole di questi giorni: l’addio (volontario o imposto) di celebri designer a marchi storici e l’assalto ai negozi H&M per la collezione Balmain disegnata da Olivier Rousteing.
È fast-fashion in entrambi i casi, in apparenza opposti: quella che fa scappare i designer, spremendoli nelle tappe forzate delle collezioni, e quella che “democratizza” le griffe, riducendole a misura di grande magazzino.


 
Balmain per H&M secondo Olivier Rousteing



 
Balmain per H&M


 
Balmain per H&M



Il primo ad andarsene è stato Alexander Wang, che ha salutato Balenciaga per tornare oltreoceano a occuparsi del suo marchio. Poi l’adieu a Dior di Raf Simons, in volo verso Los Angeles più o meno con la stessa motivazione. Infine, nei giorni scorsi, la rottura tra Lanvin e il direttore creativo Alber Elbaz, licenziato dalla proprietaria taiwanese per dissidi sulla gestione del marchio. 
Raf Simons ha dichiarato di essere stanco di disegnare in catena di montaggio, con tre settimane appena tra una passerella e l’altra, rivendicando di avere altro nella vita, oltre che sfornare sei collezioni l’anno.
Elbaz è stato più esplicito: partito “couturier”, interprete dei sogni delle donne, si è ritrovato designer+manager, attento a conti e ricavi (soprattutto a far schizzare questi ultimi), poi anche inventore di immagini, all’altezza delle aspettative di Instagram. In sostanza: l’abito deve essere creativo, vendere molto e fare così tanto chiasso sui social da spianare le autostrade virtuali a colpi di like.
Veniamo a Balmain, ultima, in ordine di tempo, tra le grandi griffe sbarcate sugli appendini del colosso svedese H&M. Ispirazione anni ’80 dichiarata per la collezione firmata Rousteing, alla guida della maison fondata da quel Pierre Balmain che fu amico di Dior e vestì intellettuali e attrici, da Gertrude Stein a Marlene Dietrich, e tantissime signore di sangue blu.

Maria Pezzi racconta (nell'atlante degli stilisti di Guido Vergani) che, dopo un gran litigio, Balmain conquistò anche Brigitte Bardot, disegnando l'abito che avrebbe indossato all'incontro con la regina Elisabetta: "modesto" e accollato, come voleva l'etichetta di corte, ma dipinto sul suo seno esplosivo, che B.B., all'epoca in competizione con Marilyn Monroe, non voleva assolutamente castigare (alla faccia dell'etichetta reale).
 
Pierre Balmain (1948)



E Balmain per H&M? Tra la serie tv “Dinasty” dell’epoca che cita, e l’odierna “Empire”, entrambe capolavoro di eccessi, la collezione - bruciata in poche ore dopo file notturne e deliri da accaparramento - è un concentrato di colori strillati e sbrilluccichii, mini ascellari e abitucci da appiccicare al corpo o stritolare col cinturone.

La velocità, di produzione o consumazione, fa sempre male. Se vuol dire gettare i designer in un flipper e sostituirli come cartucce non appena esauriti. Se couture per tutti, equivale a ordinarietà. Non sarebbe meglio tornare slow, per chi fa la moda e chi la compra?
twitter@boria_a

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