sabato 26 marzo 2016

IL LIBRO

Guido Crainz: da Berlusconi a Renzi, gli slogan delle televendite sono sempre gli stessi
 






1992, anno rivelatore. Pare di veder scorrere sul video la sigla dell’omonima fiction di Stefano Accorsi, uno dei pochi prodotti televisivi italiani competitivo sui mercati internazionali. La bufera di Tangentopoli, il verminaio della corruttela pubblica, il crollo del pentapartito, l’esplosione della Lega, l’alba del ventennio berlusconiano, la seconda Repubblica che nasce con l’ipoteca dei nodi irrisolti della prima, a cominciare dalla questione etica nella politica.
Non è il titolo di una fiction, anche se Guido Crainz maneggia prodotti televisivi e cinematografici, moda e design, articoli di stampa e pubblicità almeno con la disinvoltura con cui cita documenti d’archivio e fonti ufficiali, per dipingere settant’anni di storia italiana, dalla Liberazione a oggi. Un enorme immaginario collettivo fatto di immagini e slogan, personaggi e costumi a rapidissima deperibilità, in grado di intercettare e restituire, più delle statistiche dell’Istat e dei panieri, gli umori e lo stato di salute dell’Italia e degli italiani.



Stefano Accorsi, regista e protagonista di "1992"


1992, anno rivelatore è l’incipit dell’ultimo capitolo della nuova “Storia della Repubblica” (Donzelli Editore, www.donzelli.it pagg. 387, euro 27,00) firmata dallo storico udinese, che esce in anticipo sull’anniversario di giugno con un poderoso e fittissimo saggio. Si parte dall’Italia nel lungo dopoguerra, quel paese che l’«Inchiesta parlamentare sulla miseria», agli inizi degli anni Cinquanta, inchioda a numeri eloquenti: su circa dodici milioni di famiglie 4 milioni 400mila non acquistano mai carne e 3 milioni 200mila solo una volta la settimana. Oltre 2 milioni 800mila famiglie inoltre vivono in casa sovraffollate, e di esse quasi 900mila con più di quattro persone per stanza o in dimore “improprie” (cantine, soffitte, baracche e grotte); in molte case isolate nelle campagne l’acqua si attinge dai pozzi e l’elettricità non è ancora arrivata».
Giovanni Comisso, il 29 aprile 1950, scrive su “Il Mondo” di una “Sicilia nel Veneto” per raccontare il poverissimo Montello e Vasco Pratolini, su “Il Nuovo Corriere”, il 6 marzo 1947 si interroga: “Dobbiamo giungere a questo punto per strappare un pezzo di pane?”. Ed Ermanno Olmi, girando per la Edison documentari che vogliono magnificare l’espansione dell’industria elettrica, si muove con la macchina da presa in paesi di montagna fuori dal tempo, congelati in lavori arcaici, e in una Milano natalizia del 1954 che, pur alla vigilia del boom, appare “infiltrata” dalla povertà delle periferie.



Lo storico udinese Guido Crainz

Si parte dal dopoguerra e si arriva al “renzismo” dei giorni nostri, ai primi segnali di disaffezione nei confronti del Pd registrati già a fine 2014, al fortissimo astensionismo alle elezioni regionali emiliane dello stesso anno (la partecipazione si attesta al 37,6% e il “segnale” viene sottovalutato), fino al tramonto dell’idea del “rottamatore” di rinnovare «il paese e la politica puntando solo sull’azione di governo».
In mezzo, gli anni del boom, gli anni di piombo, la grande “mutazione degli anni Ottanta”, quelli del tramonto di Carosello e del sorgere degli spot, delle case-set con i Michele intenditori di whisky e delle trasmissioni della Carrà, dove trionfa “il partecipazionismo degli italiani che nome non hanno”, come li chiama Giorgio Bocca.


https://youtu.be/bAFjwDPSNoA


Anni della “grande mutazione”, quando crescono fenomeni che condurranno alla deflagrazione del 1992: il successo come valore unico, l’arrivismo, l’affievolirsi della solidarietà sociale e il trionfo delle pubbliche relazioni, il disastro delle grandi aziende e il fiorire delle cittadelle delle televisioni commerciali, la rivoluzione informatica e l’esercito degli yuppie, «portatori di innovazione ma lontani dal progressismo politico». Gli Ottanta, che per Crainz sono un passaggio decisivo, come lo era stato il miracolo economico, per comprendere «qualità e disvalori della nostra modernità».


 
"Pronto Raffaella?", icona televisiva degli anni Ottanta


Settant’anni di storia. Un percorso cui riandare, e attingere nei disorientamenti dell’oggi. Un presente in cui mutano orizzonti istituzionali e strutture sociali, si affacciano soggetti politici nuovi con linguaggi e forme di comunicazione dirompenti, e la necessità di conservare il passato convive con l’urgenza di affrontare sconvolgimenti internazionali senza precedenti.


Su questo si interroga Crainz. Su come si è passati dalla società piagata ma vitale del dopoguerra, capace di risollevarsi dalle macerie e dal regime fascista e di diventare protagonista di uno sviluppo straordinario, all’Italia spaesata di oggi. Immersa in una globalizzazione che non sa dominare e governare, dove il “sistema dei partiti”, cui si affidava il paese che usciva dal conflitto, capace di suscitare la “passione per la democrazia”, è oggi uno scheletro fatiscente, che perde (o moltiplica scompostamente) i pezzi, mentre montano tra la gente insofferenza e antipolitica.


1992, 7 dicembre. Titola “La Stampa”: “Nasce l’astro Berlusconi”. Due mesi dopo, nel febbraio ’93, il Cavaliere proclama dalle stesse colonne: «Dovrebbe governare chi si è già affermato in una professione e poi torni a svolgerla”. I temi evocati sono quelli dell’imprenditore che «si è fatto da sè», dell’«uomo nuovo», cresciuto nei media e nelle culture degli anni ’80. Torna alla memoria, dice Crainz, l’Alberto Sordi di “Una vita difficile”, 1961: «Vedi Elena, tu ti trovi di fronte una persona che dal nulla è diventata una delle persone più importanti del nostro paese... Lei commendatore è riuscito a surclassare tutti, a diventare il primo in ogni campo: industria, commercio, giornali, cinema, riviste, dischi, calcio... ha in mano tutto lei!».



Alberto Sordi e Lea Massari in "Una vita difficile" (1961)



Così, mentre Berlusconi prepara la discesa in campo, Giorgio Bocca riflette con amarezza sulla grande differenza rispetto all’Italia del 1945, quando eravamo sì divisi in fazioni, «ma uniti nel vivere... certi del nostro destino. Questa voglia di avere un’identità, di essere noi, nel bene come nel male, sembra esserci uscita dal corpo. Che Paese siamo?». E Claudio Magris, nel suo intervento sul Corriere della Sera, il 2 novembre 1993: «Da qualche tempo si avverte quasi fisicamente, per la prima volta, la possibilità che il Paese si dissolva e che tra breve l’Italia - nella sua attuale forma politico-statuale e dunque anche culturale - possa non esistere più».


Nelle elezioni del marzo 1994 Forza Italia diventa il primo partito italiano, perno di un’anomala coalizione, il Polo delle Libertà, che conquista la maggioranza dei seggi alla Camera (il 46%), mentre i Progressisti cui fa capo il Pds si fermano al 33%. Alle elezioni europee, di lì a poco, gli “azzurri” volano oltre il 30%, mentre nel Pds, contrattosi sotto il 20%, Massimo D’Alema sostituisce Achille Occhetto.


 
Silvio Berlusconi: nel 1994 Forza Italia è il primo partito italiano


La prima Repubblica è morta e sepolta. Ma non ne nasce una seconda, sostiene Crainz, comincia invece la stagione di Berlusconi, l’uomo che ha improntato di sè quasi un ventennio di storia italiana e col quale ancora facciamo i conti. «Sono state lanciate parole d’ordine rudimentali ma suggestive: meno tasse, meno controlli burocratici, più posti di lavoro...» scrive Claudio Rinaldi sull’Espresso dell’8 aprile ’94. «Si può discutere se una politica a base di televendite di sogni sia la migliore possibile per l’Italia. Ma è certo che tutta una parte del paese non aspettava altro. Frastornata dalla catastrofe giudiziaria della classe dirigente, fiaccata da un paio d’anni di recessione, allergica alle facce della vecchia politica, questa parte d’Italia era disposta a dare il voto per una speranza. E in molti la disponibilità è diventata entusiasmo». Il resto è storia di oggi. Ma gli slogan suonano come quelli di ieri.

twitter@boria_a

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