venerdì 4 marzo 2016

L'INTERVISTA

Gad Lerner: "La morte di Giulio Regeni ha fatto crollare le nostre illusioni"



Gad Lerner, uno degli ospiti di punta di Bookfest a Trieste



Bombardati dalle informazioni, connessi ventiquattro ore al giorno a qualche erogatore smart di notizie, sprofondati in blog e contenitori vari online, rischiamo di perdere lucidità nel distinguere la qualità di quello che leggiamo (sempre meno) ma soprattutto di quello che ascoltiamo e vediamo. Di chi ci possiamo fidare in un luna park mediatico sempre più aggressivo? E quali sono le basi su cui si costruisce un’informazione che non sia usa e getta?

Ne parlerà sabato 5 marzo, alle 18, nella sala Piccola Fenice di Trieste, uno degli ospiti di punta di Bookfest, Gad Lerner, giornalista che ha ricoperto incarichi di vertice nella carta stampata e nella televisione pubblica e privata, scrittore e conduttore. “Informazione mondiale e informazione locale: di chi possiamo fidarci? La multiculturalità nel mondo dell’informazione” è il tema del suo intervento, stimolato dalle domande del collega Giampaolo Mauro.
Sentiamo Gad Lerner.
 

Credibilità dell’informazione, un tema impegnativo...«Oggi viviamo una grande contraddizione: c’è una sovrabbondanza di informazione, ma nello stesso tempo stiamo perdendo le risorse per renderla autorevole e indipendente. L’informazione è più diffusa, ma è altrettanto svalutata nella sua capacità di sostenersi. Assistiamo a una crisi inarrestabile delle risorse attraverso cui si può consolidare la credibilità».

Media sacrificati al profitto? «È anacronistico pensare che tutto sia affidato all’iniziativa privata che punta all’utile. Sappiamo che si sta profilando una falcidie della carta stampata e della tivù generalista. Quindi questa fioritura di informazione in tempo reale non pare potersi affidare a professionisti autorevoli, ben retribuiti, che siano messi nelle condizioni di viaggiare, di studiare, di approfondire. Non vorrei sembrare apocalittico, ma chi la farà? Forse, in questo quadro, l’informazione locale ha maggior respiro, perchè la pubblicità sul territorio ci sarà sempre, ma per gli altri media si prevede una semplificazione brutale».


Dunque il problema è che sta sparendo la qualità? «Per i giovani oggi c’è una formidabile opportunità di dedicarsi all’informazione, senza però alcuna garanzia di farne un mestiere con cui campare. Tutti possono improvvisarsi giornalisti, ma dal flash all’approfondimento, all’autorevolezza, alla credibilità, ci corrono tempo, studio, viaggi. Quindi è di nuovo necessario il riconoscimento dell’informazione come bene comune, con impiego di risorse pubbliche per renderla indipendente e autorevole. Il rischio, altrimenti, è il prevalere della logica del profitto e la concentrazione in pochissimi editori internazionali. Non vedo il ricambio tra i grandi professionisti del passato, i patriarchi, che avevano carriere lunghissime e un patrimonio di decenni di incontri, di conoscenze, di cultura. Basteranno immagini e video a sostituirli? O il bisogno di approfondimento resterà inevaso?».


Non è solo una questione di scontro tra web e giornali? «No. La vera incognita del web è che nessuno al mondo ha scoperto il metodo con cui un giornale online può autofinanziarsi. Pochi hanno abbondamenti alle edizioni web. Il Corriere ora prova con le notizie a pagamento, mi pare che nel primo mese abbia raggiunto 26mila abbonamenti a 5 euro al mese. Può darsi che sia il futuro dell’informazione autorevole, ma l’Independent ha chiuso... Forse ci abitueremo a pagare il web, certo per i giovani è inconcepibile. In più la pubblicità online è sequestrata da pochissimi colossi mondiali, Google, Facebook. L’autorevolezza ha bisogno della carta, che resta comunque per ricchi, mentre la grande massa corre il rischio di essere asservita ad altri scopi...».


Un esempio? «Il più grande sostenitore di Netanyahu è il re delle case da gioco di Las Vegas che gli offre un giornale gratuito, Bibi News, strumento di propaganda potentissimo. È chiaro che il giornalismo di inchiesta soccombe. Dobbiamo ricordarci che l’informazione è un bene comune, irrinunciabile per la democrazia. Ed è un problema di democrazia garantirle risorse. Non parlo di sovvenzioni pubbliche, ma di creare le premesse strutturali perchè i giornali siano autorevoli».


Che rapporto vede tra i diversi canali informativi? «Non c’è dubbio che il futuro sta nell’integrazione. Ovvio che sulla carta non vai più per scoprire cosa è successo ieri, i grandi eventi si sanno in tempo reale, forse con l’unica eccezione dei giornali locali, verso cui c’è ancora la curiosità del fatto. La carta può dare l’interpretazione, l’approfondimento, i retroscena, la controinformazione, ma sono necessarie garanzie di qualità. Inoltre il giornale viene concepito come un qualcosa che si aggiorna più volte nel corso della giornata. “Repubblica” è la sola in Italia che ha una redazione sulle 24 ore, ma è una tendenza inevitabile. Anche i commentatori oggi devono intervenire subito sui fatti per l’edizione online».


Che idea si è fatto del caso di Giulio Regeni? «È un sassolino nell’ingranaggio delle nostre illusioni. Quelle di contenere la minaccia dei conflitti sulla sponda sud del Mediterraneo affidando il contenimento di società incandescenti a dittatori. Pensiamo che siano popoli immaturi, inadatti alla democrazia, alla dialettica, a gestioni simili a quelle di casa nostra e che per loro funzionino solo i despoti, i rais, i regimi. Ma il mondo si è intrecciato e un ragazzo di talento può rimanerne stritolato. Al-Sisi ha rivelato il suo vero volto. Ed è importante che l’Eni non si limiti a sperare che lo scandalo duri poco, ma abbia dichiarato di farsi carico del dolore della famiglia. L’avrà sollecitato la Farnesina ma è anche prova di intelligenza e di sensibilità culturale dei manager del gruppo. Il petrolio si trova sempre in luoghi infernali per assenza di democrazia e tensioni sociali. Ora non possiamo più fingere di infischiarcene, di tener separati i problemi. Grazie al cielo. E questo è un merito dell’informazione».



Verità per Giulio Regeni sul municipio di Trieste



Spotlight” ha vinto l’Oscar per il miglior film. Un Oscar al giornalismo che non esiste più... «Torniamo al punto da cui siamo partiti. Grandi professionisti, tempo per la ricerca... Solo così nasce un’informazione che dà un contributo alla democrazia e alla  legalità».


Michael Keaton e Mark Ruffalo in "Spotlight", Oscar per il miglior film straniero 2016


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