sabato 22 ottobre 2016

 LA CONVERSAZIONE

 La moda della Grande Guerra liberò Berlino e Vienna dai "diktat" di Parigi









Le riviste della Biblioteca di costume Lipperheide (Musei statali di Berlino)




Il nero così amato dalle fashioniste? È una moda nata con la prima guerra mondiale. Niente a che fare con il minimalismo dei giapponesi e con il fascino senza tempo del “little black dress”, ma più prosaiche ragioni di semplicità, praticità e soprattutto lavabilità. Le donne che lasciano le quattro mura domestiche ed entrano in massa nel mondo del lavoro per sostituire gli uomini mandati al fronte, hanno bisogno di “involucri” in cui sia facile muoversi, che non si impiglino nei macchinari industriali, che permettano di viaggiare confortevolmente sui mezzi pubblici e non temano l’acqua.

Il conflitto incubatore di “trend”, diremmo oggi. Che corrispondono a una rivoluzione epocale nel ruolo e nella posizione sociale della donna. E il colore è appunto una delle tante, radicali trasformazioni nel guardaroba femminile che la Grande guerra porta con sè e che, a distanza di oltre cent’anni, rimangono ancora ben salde nella moda contemporanea. Come l’adozione di capi maschili, l’ispirazione militare nelle giacche, le gonne e camicette diventate “uniforme” quotidiana, per spezzare la ricchezza e la cerimoniosità degli abiti interi, prima distinti per le diverse occasioni della giornata e improvvisamente così difficili da mantenere e manutenere. Un’epoca era finita, anche nell’armadio. L’estetica correva insieme alla storia.


Di questi temi si è parlato a Gorizia (venerdì 21 ottobre 2016), ai Musei provinciali di Borgo Castello, nella conversazione su guerra e vestiti “Krieg und Kleider, 1914-1918: Immagini della moda di Parigi, Vienna e Berlino”, protagonista Adelheid Rasche, storica dell’arte e della moda, dal 1990 chief curator della Collezione di immagini di moda-Biblioteca di costume Lipperheide della Biblioteca d’arte dei Musei statali di Berlino, che è stata introdotta dalla sovrintendente goriziana Raffaella Sgubin.


L’appuntamento si è inserito nell’ambito della mostra “Guerra e moda - L’alba della donna moderna” (aperta fino al 4 dicembre) che, abbracciando un arco di tempo dal 1905 al 1925, racconta come il primo conflitto mondiale “rivestì” le donne, dentro e fuori casa. La mostra goriziana e quella allestita a Berlino nel 2014, con lo stesso titolo della conferenza odierna, partono da una ricerca comune di Rasche e Sgubin sul fondo Lipperheide dei musei statali di Berlino, una collezione dedicata alla storia culturale dell’abbigliamento e della moda, con riviste, giornali illustrati, monografie, foto e illustrazioni di moda, disegni e album a stampa. Vi sono inclusi i lussuosi disegni della casa di moda berlinese Alfred-Marie, fondata dall'artista tedesco Otto Haas-Heye, che aveva risieduto a lungo a Parigi e, una volta tornato in patria, aveva aperto un atelier di ispirazione francese, da cui uscivano piccole collezioni di alta moda. Di questo couturier i musei tedeschi non conservano neanche un modello (presumibilmente tutti sono andati distrutti nel corso della seconda guerra mondiale), solo foto e disegni, tra cui quelli di Annie Offterdinger, all'epoca modellista neanche ventenne da Alfred-Marie, autentiche opere d'arte.


Interrotti i contatti con la Francia, Austria e Germania cominciarono a elaborare un proprio stile. Vienna e Berlino “liberati” con la guerra dai diktat di Parigi? «Non esageriamo», dice Adelheid Rasche. «Le riviste austriache e tedesche parlavano di moda “nostra”, “indipendente”, in realtà quelle francesi continuavano a circolare nel centro Europa. La differenza è che Austria e Germania cominciano con la guerra a utilizzare materiali e produzioni proprie per ispirarsi ai modelli francesi. È l’inizio di una moda nazionale».


Più che di “moda”, Rasche preferisce parlare di “abbigliamento” del conflitto. «Nelle riviste e nelle lettere che abbiamo esaminato - spiega - si illustra appunto un vestiario adatto ai lavori quotidiani. Le donne viaggiano sui mezzi pubblici, hanno bisogno di gonne e camicie pratiche, in materiali facili da lavare, perchè manca il sapone. Gli orli si accorciano, si adottano il nero e molti colori scuri, maschili, che si sporcano meno. Ci sono pochi ricami, che sono impegnativi da conservare. Dopo la guerra, saranno le più giovani a fare di questi elementi una moda: capelli e stile a la garçonne. Ma non ci sono solo gli abiti. In questo periodo, soprattutto a Vienna, si sviluppa un’arte grafica raffinata. Le cartoline rappresentano lo stile moderno, un’estetica totale che abbraccia dipinti, grafica, arredamento, moda».


Ragioni economiche e psicologiche fanno della moda della Grande guerra un tema tutt’altro che frivolo. Ci sono le industrie del settore da tutelare e sostenere. Ci sono i soldati, che vogliono vedersi circondati dalla bellezza, nelle pause dall’orrore del fronte. «Tutte le riviste - conclude Rasche - invitano le donne a “farsi” belle. Per le fabbriche del paese, per tener alto il loro morale e risollevare quello dei soldati che vengono in licenza. La moda è quasi un dovere».

Nessun commento:

Posta un commento