lunedì 2 ottobre 2017

 IL LIBRO

L'inferno di Victoire dietro le passerelle


«Ma tu sei la nuova Claudia Schiffer!». Tutto accade come in una fiction televisiva a Victoire Dauxerre, una diciottenne francese appena diplomata che studia per l’ammissione alla prestigiosa Sciences Po. Un metro e settantotto, cinquantasei chili, l’incontro fortuito con un agente di modelle che la intercetta per strada, a Parigi, mentre passeggia con la madre e le promette il lancio sulle passerelle delle fashion week internazionali(«sua figlia è di una bellezza strepitosa! E che naso, dà equilibrio al volto, e cattura perfettamente la luce...»). Non è una frase buttata là: Victoire, in ventidue mesi, entra nella lista delle venti top model più richieste al mondo, volto e corpo della scuderia Élite, proprio la stessa di Claudia Schiffer.




E di “scuderia” non si parla a sproposito: costretta a rispettare misure ferree - 46 chili per entrare nella taglia 36, il limite più ambito, che raggiungono in poche - Victoire diventa un animale da competizione, ma senza le coccole e i riguardi usati agli esemplari di razza. Turni di prove massacranti, attese interminabili per pose di pochi minuti, ambienti squallidi e cibo spazzatura, una competizione sanguinaria senza esclusione di colpi bassi, soprattutto con le diaboliche russe, per “sfilarsi” un marchio. E la totale spersonalizzazione, la mortificazione di essere nient’altro che una “buona gruccia” per dirla con Kaiser Lagerfeld («magre, efficaci, passo deciso e sguardo assassino»), un corpo inesistente in natura, costretto a oltrepassare ogni limite fisico, su cui appoggiare creazioni da sogno.

Ora questa esperienza è diventata un libro, (“Sempre più magre”, Chiarelettere, pagg. 242, euro 14,00) anzi, un diario, che è insieme ingenuo e inquietante, sul lato oscuro del mondo della moda, delle sfilate, dei casting. Sulla disumanità della macchina dietro quei pochi minuti di riflettori, che arruola, consuma, stritola ed elimina un esercito usa e getta di giovani donne, spesso poco più che adolescenti. Una muore di fame nel backstage di una sfilata: diciassette anni, crisi cardiaca, uno scheletro che crolla nel silenzio di tutti.





La denuncia di Victoire, che in Francia ha venduto cinquantamila copie e ispirato la legge contro l’anoressia, per una strana casualità, convive in questi giorni sugli scaffali delle librerie proprio con il patinato memoir della Schiffer (Rizzoli) sulla sua trentennale carriera da top. Ma mentre le passerelle della fashion week in corso a Parigi ci rimandano le immagini delle modelle che sfilano per gli stessi marchi per cui Victoire ha lavorato, nel suo diario leggiamo l’altra faccia del fashion system. Che, poi, a conti fatti, tra percentuali agli intermediari e trattenute su viaggi e trasferte, a una “mandria” di ragazze anonime lascia in tasca ben poco.
Era questa la lusinga dei suoi genitori («ti rendi conto Victoire? Potrai viaggiare in tutto il mondo, e potrai guadagnare un sacco di soldi facendo poco o nulla...»), vicini e affettuosi ma anche accecati dal miraggio di una figlia osannata, ricca e famosa. Invece, in quei pochi mesi di celebrità, mentre la sua fan page rastrellava estimatori e le agenzie gongolavano, Victoire si consumava tra tranquillanti per reggere lo stress, lassativi e clisteri per “bruciare” quell’unica mela concessa al giorno.


Molti bei nomi ne escono male: Lagerfeld che pretende le ultrapiatte, Vuitton i casting solo in perizoma e tacchi, Miuccia Prada, i cui assistenti usano prodotti così aggressivi che scorticano il cuoio capelluto, al punto che è necessario un bagno di due ore per staccare la colla dalla testa e salvare qualche ciocca. E quando ti presenti davanti alla signora della moda italiana, capita che l’insieme non le piaccia e tu, senza nemmeno incrociare il suo sguardo, finisca di nuovo sotto le mani di una pletora di truccatori asserviti per rifare tutto da capo, strigliare i capelli, sfregare la pelle, costruire la bellezza che la griffe ha in testa.


Victoire ha scelto di uscirne, dopo un ricovero in clinica e un difficoltoso recupero dall’anoressia. Oggi studia recitazione a Londra, ma il rapporto con il cibo continua a essere altalenante e problematico. Il suo sfogo non scoraggerà certo il bacino inesauribile delle aspiranti modelle, ma ha il coraggio di sollevare tanti interrogativi, per le ragazze e per le famiglie che hanno alle spalle e spesso sono le prime a spingerle nell’inferno. Anche Flavia Piccinni, nel suo recente “Bellissime” (Fandango), dedicato al mondo oscuro e ambiguo dei baby modelli, ha proposto la stessa domanda: quanto siamo disposti a pagare per il miraggio di una breve, splendida, anormalità?

Nessun commento:

Posta un commento