domenica 22 ottobre 2017

IL LIBRO

Quel terremoto che ti obbliga a crescere



Il trasferimento da Roma a Los Angeles al seguito della sua squinternata famiglia, l’impatto con un ambiente alieno e squallido, lontano anni luce dalla mecca glam del cinema, le amicizie freak, la scoperta del sesso, l’iniziazione alle droghe, il ritorno per una vacanza in Italia, dopo il primo anno di scuola americana, in un’isola delle Eolie ruvida e feroce come il quartiere ghetto di Van Nuys dov’è andata a vivere. Sono tanti i terremoti nella vita della diciassettenne Eugenia, alter ego di Chiara Barzini (quarti artistici nobilissimi: trisnonno e bisnonno sono i celebri giornalisti Luigi Barzini Sr e Jr, la zia è la top model Benedetta Barzini), che esordisce alla scrittura in inglese con “Thinghs that happened before the earthquake”, da lei stessa tradotto insieme a Francesco Pacifico e pubblicato da Mondadori col titolo di “Terremoto” (pagg. 332, euro 19,00), in un travaso tra lingua madre e seconda lingua che fornisce anche un codice per addentrarsi nelle pagine. Questo romanzo di formazione, crudo e diretto, in America ha catturato l’attenzione di Gerry Howard, editore di David Forster Wallace.

Chiara Barzini


Eugenia-Chiara arriva a Los Angeles nella primavera del 1992, quando la megalopoli è avvolta nel fumo dei Riots, gli scontri a sfondo razziale, che cancellano la sua distesa inestinguibile di luci e la lasciano «offuscata» e «coperta di cicatrici» (la città «come una celebrità dopo uno scadalo, supplicava di essere lascita in pace»). Due anni dopo, nel gennaio ’94, Los Angeles è sconvolta dal terremoto, e pochi mesi dopo la famiglia di Eugenia rimpatria, mentre lei decide di frequentare l’Università negli Usa.

Due sconquassi veri, che circoscrivono temporalmente il romanzo, dentro i quali l’autrice racconta la permanenza americana della famiglia, tanto bella e perfetta nella pubblicità televisiva della carne Manzotin, di cui è stata realmente protagonista, quanto scombinata nella vita vera: il padre regista velleitario e disorganizzato, la madre segretaria-cuoca-tuttofare, entrambi concentrati su loro stessi e disinteressati ai figli, Eugenia e il fratello Timoteo coinvolti nel pazzo progetto di un film da girare a Los Angeles, tra dubbi collaboratori, la casa trasformata in set, soldi che spariscono, il miraggio di reclutare Johnny Depp. E tutti i punti fermi che si dissolvono sotto il sole della spellacchiata San Fernando Valley, sede delle società cinematografiche, tra comuni di hippie fuori tempo massimo e catene di cibo spazzatura, dove non ci si sposta che in auto perchè a piedi daresti nell’occhio e non arriveresti da nessuna parte. L’America finta e cattiva, con la maschera dei pupazzi di Disneyland, sotto i cui costumi Cenerentola fuma erba con la pipa e Topolino è un poliziotto travestito a caccia di tossici imbucati tra le famiglie.

Eugenia, invece, cerca disordinatamente una strada, la sua strada, senza puntelli. La scuola è gigantesca e, se non trovi l’aula giusta, vieni caricato su una macchina da golf rastrella-ritardatari e confinata tra le minoranze razziali. Infila una galleria di mostri: il nativo americano malato di cancro con cui perde la verginità, nei fumi dell’erba con una spolverata di peyote, lo studente persiano con cui fa brutto sesso, che viene freddato in un centro commerciale, infine Henry, l’amico senza un orecchio, nel cui negozio di scalcagnate memorabilia hollywoodiane comincia a cambiare vestiti e pelle. Abiti vintage e reperti di vecchi film, un tentativo di rifugiarsi in un passato meno squallido e disperante.
Infine Deva, la bellissima compagna di scuola, figlia di un vecchio rocker etilista, che con i figli usa il pugno di ferro: Eugenia segue il fratello nella loro casa-baracca, ma finisce a letto con lei e scopre finalmente il piacere fisico, dopo tanti amplessi asciutti e un po’ disgustosi. Anche Deva, però, sparisce.

Los Angeles, la città del “luminoso invisibile”. Quello che più convince e cattura nel libro è proprio questo, la capacità dell’autrice di materializzare la desertificazione fisica e umana del paesaggio, mettendola in corrispondenza con lo spaesamento della protagonista. E non c’è differenza tra la San Fernando Valley e l’isola più appartata delle Eolie della parentesi italiana di vacanza: dopo i grandi spazi che inghiottono, un’enclave preistorica priva di presenze umane. Qui o là Eugenia cresce sola. Nel buio, sulle brandine dell’isola, con il fratello fa il gioco di chi buttare dalla torre tra le fiamme: nonne, animali domestici, genitori e amici. «Qualcuno doveva sempre finire nel fosso e, se fossimo riusciti a trovare la strada tra due opzioni dilanianti, avremmo saputo affrontare i vicoli ciechi della vita».
@boria_a

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