lunedì 4 dicembre 2017

IL LIBRO

L'anteprima del caso Weinstein nei diari di Mary Astor 





Un produttore che pratica i casting per via orizzontale di questi giorni non fa proprio notizia. Dopo lo scandalo planetario di Weinstein e compagni, il celebre “sofà” hollywoodiano, di cui scrissero nel 1991 gli sceneggiatori inglesi Alan Selwyn e Derek Ford, oggi sostituito, anche a casa nostra, da più raffinati ma altrettanto spicci pedaggi sessuali, è un po’ venuto a noia per eccesso di star e dettagli. Per una coincidenza singolare, il delizioso “I diari bollenti di Mary Astor” di Edward Sorel, appena pubblicato da Adelphi (pagg. 169, euro 20,00), arriva in libreria proprio nel momento in cui le colonne di giornali e riviste sono colonizzate dalla contabilità dei predatori e dagli outing delle prede, femmine e maschi, che, seppure con un certo ritardo, li accusano di molestie varie (tutto il contrario di quanto, nell’anonimato, dichiarava nel libro di Selwyn e Ford, un’attrice passata per la via orizzontale: «Non c’è afrodisiaco più forte al mondo di un uomo che può realizzare un sogno. Non credo che molte di noi siano state trascinate verso il sofà mentre scalciavano e urlavano...»).

Insomma, il libro di Sorel correva il rischio di essere stritolato dalla contingenza. Perchè temi e ambienti, seppure vintage, sono quelli della cronaca odierna: una Hollywood affamata di vergini, un’attrice esordiente, poi diventata famosa, letteralmente stesa a diciassette anni da un seduttore seriale come John Barrymore, quarantunenne mito dello schermo, genitori ciechi, quando non solleciti nello spingere la prole tra le braccia di orchi potenti, alcol e additivi vari a condire incontri e festini, particolari scabrosi sulle prestazioni.


La storia (e le illustrazioni) di Sorel - uno dei padri della grafica americana, con all’attivo decine di copertine per il New Yorker, oltre a tante collaborazioni per riviste celebri - sono, al contrario, il candido, ironico, affettuoso ed elegantissimo omaggio di un ultraottuagenario alla star dei suoi sogni di ragazzo, Mary Astor (che comincià col muto, passò ai noir e vinse pure un Oscar al fianco di Bette Davis in “La grande menzogna” del ’41).



Mary Astor


L’attrice, nel 1936, mentre ironicamente girava “Infedeltà”, fu al centro di uno scandalo finito in tribunale, quando il secondo marito, ormai ex, per sottrarle la figlioletta, la accusò di indegnità morale sventolando alla stampa i suoi diari, con la minuziosa registrazione degli amanti e della qualità della loro ginnastica sessuale, peraltro compilati mentre il matrimonio era ancora in piedi.


Ma dentro la cronaca di questo vecchio processo, popolato di antesignani di Weinstein, c’è un’altra storia vera, molto più affascinante. Nel 1965, quando Sorel aveva 36 anni e pubblicava vignette contro il Vietnam sulla rivista “Ramparts”, si trasferì con la seconda moglie in un cadente appartamento dell’Upper East Side a New York. Fu lì, togliendo il linoleum della cucina, che scoprì uno strato di giornali ingialliti, utilizzati per pareggiare le assi di legno. Erano vecchie copie del Daily News e del Daily Mirror, tutti della stessa annata, il 1936, e tutti con titoli a caratteri cubitali sullo scandalo a luci rosse dei diari di Mary Astor, zeppi di nomi e dettagli pruriginosi. Come le “ore d’estasi” che le regalava il più importante commediografo di Hollywood dell’epoca, George S. Kaufman, sciupafemmine fobico e pieno di tic ma, soprattutto, sposatissimo (nella coppia più indissolubile che esista, quella dove non si va a letto insieme ma si è utili l’uno all’altro).



Edward Sorel


Dalla casuale scoperta dei giornali marci, Sorel ripiomba nell’incantesimo di ragazzo. E prima di scrivere di Mary, che vide per la prima volta a dieci anni nel “Prigioniero di Zenda”, con la costanza e la dedizione di un innamorato fedele, vuole sapere tutto, ma davvero tutto, di lei: ricostruisce la sua infanzia, raccoglie notizie su quella piccola bellissima, al secolo Lucile Vasconcellos Langhanke, che voleva sposarsi e “fare bambini”, ma che papà Otto e mamma Helen, immigrati dalla Germania, vedono subito come una formidabile macchina per fare soldi e spingono, se non proprio sopra, almeno in prossimità di più di un sofà. Sorel legge cronache, vede film, divora biografie di Kaufman e l’autobiografia di lei.


Cinquant’anni dopo dà alle stampe la vita illustrata del suo mito, che morì nell’87 a 81 anni, dopo tre mariti, un’unica figlia e quaranta bisnipoti, tanti film dimenticabili, la bottiglia e l’oblio. Soprattutto le restituisce un po’ di luce, dopo le luci rosse, schierandosi sempre dalla sua parte. Non era una star e aveva una bellezza aristocratica più che da armadietti maschili, ma era disarmante e non smemorata. Dei suoi anni di attrice, scrive: «Sessualmente non mi controllavo. Bevevo troppo, e a tarda sera finivo per trovare qualcuno “molto attraente”. Salvo svegliarmi il mattino dopo con una sola domanda in testa: perchè? Perchè?».

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