sabato 4 aprile 2020

IL LIBRO



Ocean Vuong, dal Vietnam all'America
il cammino doloroso e luminoso della libertà 





C’è un capitolo lancinante all’inizio di “Brevemente risplendiamo sulla terra”, il romanzo d’esordio di Ocean Vuong, best seller per il New York Times, che lo lancia come il nuovo capolavoro della letteratura americana, in corso di traduzione in ventun paesi.

Ocean Vuong


È domenica mattina a Hartford, nel Connecticut, e Ocean, che all’epoca ha dieci anni e nel libro si chiama Little Dog (perchè il nome di un cagnolino poco desiderabile, vuole la leggenda vietnamita, terrà alla larga gli spiriti maligni che rapiscono i bambini), accompagna la mamma nel centro estetico dove lavora. Rose è giovane, ma ha già i legamenti gonfi per l’artrite, occhi, pelle, fegato aggrediti dagli acidi, lo smalto smozzicato.


Entra una cliente anziana e Little Dog l’aiuta ad accomodarsi nella poltrona della pedicure. Sotto i pantaloni, la donna nasconde una protesi e sotto la protesi un moncherino brunastro. La sua è una preghiera quasi muta, rivolta alla giovane immigrata ingobbita sopra i suoi piedi, che sa pronunciare solo frasi indispensabili ad accompagnare gesti sempre uguali, ma capisce con gli occhi un bisogno. E Rose l’accontenta: massaggia dove la gamba non c’è più, asciuga un piede fantasma, evoca con la memoria muscolare i contorni fisici di una mancanza, come un direttore d’orchestra rende plastico un suono.


È un breve episodio di questo memoir che toglie il fiato, scritto in forma di lettera da Vuong alla madre: viscerale, doloroso, disperatamente sincero perchè lei, semianalfabeta e incapace di parlare l’inglese, non potrà mai leggerlo (“Ti scrivo per avvicinarmi a te, anche se ogni parola che butto giù è una parola in più che ci allontana”).


Dentro il centro estetico, in quella domenica di tante che immaginiamo desolata e vuota, srotolata tra le rotonde dei centri commerciali e i cavalcavia, Vuong ci dice già tutto di sè, di loro: il rapporto simbiotico tra madre e figlio, fatto di intimità ma anche di scoppi di violenza, l’accudimento reciproco (“mi sono spogliato della nostra lingua e ho indossato il mio inglese come una maschera in modo che gli altri potessero vedere il mio viso, e così anche il tuo”), la gentilezza e il dolore, il prezzo di un sogno di riscatto che si incide inesorabilmente sul corpo (“la consapevolezza calcificata di cosa significa svegliarsi con ossa americane, con o senza cittadinanza, ossa indolenzite, tossiche e sottopagate”). La fragilità di lei, che soffre di stress post-traumatico e lo picchia - “aiutami Little Dog, aiutami a restare giovane, a sciogliere questa neve dalla mia vita” - il percorso di lui, che in quel paese, che mastica e sputa gli emarginati, riesce a studiare, cresce, rivendica la sua identità, anche sessuale, contro tutti i pregiudizi.



Ciao Ma’, scrive Little Dog, a quella donna che non parla, non esiste. E pagina dopo pagina racconta la storia della sua famiglia, arrivata dal Vietnam negli Stati Uniti nei primi anni Novanta. La nonna Lan, orchidea, scappata da un matrimonio combinato e poi costretta a vendersi ai soldati americani. La mamma Rose, dalla pelle pallida, nata da uno di quei rapporti mercenari, che a suo figlio fa bere bicchieri di latte per trasformarlo in Superman, capace di vincere ogni ostacolo, latte bianco, del colore che a lei, in Vietnam, i bambini volevano tirare fuori dalla pelle e che in America non basta per essere una di loro. 


Poi l’incontro con Trevor, da cui Little Dog imparerà che c’è «ancora qualcosa di più brutale e assoluto del lavoro», il coetaneo che passa dagli antidolorifici all’eroina, per cui l’omosessualità è qualcosa da cui si può uscire, per tornare a essere normali, anche lui masticato e sputato. Da questo amore, il primo che Little Dog conosce al di fuori della famiglia, dalla scoperta del sesso e del desiderio, comincia il suo percorso di libertà.



Renditi invisibile, gli diceva la madre, “già sei vietnamita”. E invece Little Dog sembra gridare in questo libro e rivendicare il suo diritto all’amore, alla libertà, alla felicità con parole che sono le stesse della sua poesia (con la raccolta “Cielo notturno con fori d’uscita”, in Italia pubblicata da La nave di Teseo, Vuong ha vinto l’Eliot Prize e il Whiting Award) e che nella prosa si gonfiano, dilagano, si alzano. E rendono straordinarie vite altrimenti invisibili, senza parole, facendole splendere, anche se brevemente. 

@boria_a

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