Caitlin Doughty e il diario dal crematorio
che ci riconcilia con la morte
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Caitlin Doughty |
L'epidemia da coronavirus ha portato alle conseguenze più crudeli l’allontanamento dai propri cari defunti. Niente camera ardente, niente funzioni religiose, funerali o sepolture pubbliche, niente congedo. La morte ci viene brutalmente rovesciata addosso ogni giorno dai mezzi di informazione con i freddi numeri delle statistiche, ma a tutti è impedito di accompagnare gli ultimi momenti terreni dei propri affetti e soprattutto di dar corso ai riti che seguono alla morte.
Un virus sconosciuto ha messo a nudo un “privilegio”
dei Paesi industrializzati: non essere più obbligati a vedere i corpi dei
defunti, poter evitare un incontro ravvicinato con la morte. Fino agli anni ‘30
del secolo scorso, in Occidente il trapasso avveniva in casa e del corpo si
prendeva cura la famiglia, per lo più le donne, che lo lavavano e lo vestivano
per prepararlo alla veglia domestica. Oggi l’industria funeraria si occupa di
tutto, dal prelievo della salma fino alla sua restituzione in un’urna, a volte
anche per posta. E rendere invisibile, o
“presentabile” la morte, è diventato un business sofisticato e redditizio.
A riconciliarci con l’idea di un evento naturale ma che abbiamo
relegato ai margini della nostra esistenza, è il singolare memoir di una
giovane autrice hawaiano-americana, Caitlin Doughty, best seller negli Stati
Uniti ed edito in Italia da Carbonio: “Fumo negli occhi e altre avventure dal
crematorio”.
Il libro è uscito due anni fa ma è ricomparso nelle classifiche di
vendita in questi giorni e non è difficile capire il perché. Quelle di Doughty
sono “lezioni” (così il titolo originale) sulla morte nate dall’esperienza
vissuta sul campo dall’autrice. Subito dopo la laurea in Storia medievale,
Doughty ha lavorato per un anno alle piccole pompe funebri Westwind Crematory
and Burial di San Francisco, prima di prendere una seconda laurea in Scienze
Mortuarie e lavorare ancora per anni nel settore trasportando cadaveri su un
grosso Spinter Diesel in lungo e in largo nella California meridionale.
Infine ha aperto la sua impresa funebre no profit a Los Angeles, un sito web, The Order of a Good Death (www.orderofthegooddeath.com), dove
con esperti e professionisti cerca di smantellare i tabù che circondano la dipartita, e diventare una web
star con l’esilarante serie Youtube Ask a Mortician. In pratica: chiedete a una becchina come
“guardare la morte in faccia”, come togliere la benda dagli occhi.
Il timore
di morire, ci dice Doughty, è il “motivo che ci porta a costruire cattedrali,
mettere al mondo dei figli, dichiarare guerre, guardare online video di gatti
alle tre di notte. La morte anima ogni spinta creativa e distruttiva che
alberga nell’essere umano. Prima arriveremo a capirlo, e prima arriveremo a
capire noi stessi”.
Lezioni sulla morte, dunque. Che non risparmiano alcun dettaglio - dal primo incontro di Doughty con
la “storta”, la macchina crematice, al trucco dei volti, dalla rimozione dei
pacemaker, all'imbalsamazione, dalla
polverizzazione delle ossa, ai colori delle salme, un'incredibile palette dal nero al verde acido
- ma non indugiano mai nel macabro o nel
morboso, anzi sono talmente particolareggiate, e con frequenti digressioni
storiche e nei riti della sepoltura, da sfiorare la trattazione accademica,
come dimostra l’imponente bibliografia.
Ma quel che rende il libro
irresistibile, è il registro apparentemente .asettico dell’autrice, il distacco
con cui descrive ogni incontro ravvicinato, ogni dettaglio sconosciuto (e che
evitiamo accuratamente di chiedere) dell’industria della morte, senza renderlo
schifiltoso, respingente, ma riuscendo a farci sorridere, ridere, arrabbiarci,
empatizzare.
Perché questo è l’obiettivo dì Doughty e ce lo spiega proprio
raccontando come la sua esperienza nel sistema funerario americano le abbia
fatto cambiare idea sull’obiettivo della sua personale impresa: non rendere
“divertenti” i funerali, con i pezzi rock amati dal defunto suonati per i
congiunti che bevono punch senza guardare la bara, non “ personalizzarli”
aggiungendo inutilità a una lista di costoso merchandising, ma rendere la morte di nuovo Benaccetta”, in
un “bel posto”, con grandi finestre e luce naturale, dove non sarà negata, nascosta o
sterilizzata, ma condivisa.
La morte può essere ingannata, ha imparato Caitlin
da bambina, quando il pesce rimasto secco nella boccia d’acqua (a chi non è
successo) è stato sostituito dal padre con un altro identico. O dissimulata,
come quando i genitori la portarono a mangiare pancake per cancellare il trauma
di aver visto una coetanea precipitare dalla balaustra in un centro
commerciale, col risultato di creare in lei angoscia, poi rifiuto. “A volte
penso a quanto sarebbe stata diversa la mia infanzia se solo mi avessero
parlato apertamente della morte, se mi avessero fatto sedere in sua compagnia e
stringerle la mano. Ripetendomi che sarebbe diventata la mia amica più cara,
che avrebbe influenzato ogni mia mossa o decisione....”.
Ogni cadavere è un’avventura, scrive Caitlin. La sua è
cominciata facendo la barba al settantenne Byron e sbagliando la direzione
della rasatura. Da quella prima esperienza, il suo diario dal crematorio ci
svela ogni risvolto surreale,
drammatico, ridicolo della macchina che si mette in moto quando lasciamo questa
terra, compresi gli aspetti speculativi.
L'imbalsamazione, per esempio, divenne un affare
durante la guerra di secessione, il conflitto che fece più morti nella storia
americana, quando la necessità di evitare la decomposizione sviluppò un agguerrito
spirito imprenditoriale e, per la prima volta, trasformò salme imbellettate in “prodotti” da promuovere e quindi vendere.
Oggi, dal suo sito, Caitlin racconta la morte al tempo del Covid 19, l’epidemia
che l’allontana ancora di più dall’essere accolta e benaccetta. Ma per lei, al
lavoro su un altro libro, non ci sono dubbi: niente funerali in live streaming.
twitter: @boria_a
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