domenica 3 maggio 2020

IL LIBRO

 Caitlin Doughty e il diario dal crematorio
che ci riconcilia con la morte


Caitlin Doughty
 


L'epidemia da coronavirus ha portato alle conseguenze più crudeli l’allontanamento dai propri cari defunti. Niente camera ardente, niente funzioni religiose, funerali o sepolture pubbliche, niente congedo. La morte ci viene  brutalmente rovesciata addosso ogni giorno dai mezzi di informazione con i freddi numeri delle statistiche, ma a tutti è impedito di accompagnare gli ultimi momenti terreni dei propri affetti e soprattutto di dar corso ai riti che seguono alla morte.

Un virus sconosciuto ha messo a nudo un “privilegio” dei Paesi industrializzati: non essere più obbligati a vedere i corpi dei defunti, poter evitare un incontro ravvicinato con la morte. Fino agli anni ‘30 del secolo scorso, in Occidente il trapasso avveniva in casa e del corpo si prendeva cura la famiglia, per lo più le donne, che lo lavavano e lo vestivano per prepararlo alla veglia domestica. Oggi l’industria funeraria si occupa di tutto, dal prelievo della salma fino alla sua restituzione in un’urna, a volte anche per posta. E rendere invisibile, o “presentabile” la morte, è diventato un business sofisticato e redditizio.


A riconciliarci con l’idea di un evento naturale ma che abbiamo relegato ai margini della nostra esistenza, è il singolare memoir di una giovane autrice hawaiano-americana, Caitlin Doughty, best seller negli Stati Uniti ed edito in Italia da Carbonio: “Fumo negli occhi e altre avventure dal crematorio”.




Il libro è uscito due anni fa ma è ricomparso nelle classifiche di vendita in questi giorni e non è difficile capire il perché. Quelle di Doughty sono “lezioni” (così il titolo originale) sulla morte nate dall’esperienza vissuta sul campo dall’autrice. Subito dopo la laurea in Storia medievale, Doughty ha lavorato per un anno alle piccole pompe funebri Westwind Crematory and Burial di San Francisco, prima di prendere una seconda laurea in Scienze Mortuarie e lavorare ancora per anni nel settore trasportando cadaveri su un grosso Spinter Diesel in lungo e in largo nella California meridionale.

Infine ha aperto la sua impresa funebre no profit a Los Angeles,  un sito web, The Order of a Good Death (www.orderofthegooddeath.com), dove con esperti e professionisti cerca di smantellare i tabù che circondano la dipartita, e diventare una web star con l’esilarante serie Youtube Ask a Mortician. In  pratica: chiedete a una becchina come “guardare la morte in faccia”, come togliere la benda dagli occhi.

Il timore di morire, ci dice Doughty, è il “motivo che ci porta a costruire cattedrali, mettere al mondo dei figli, dichiarare guerre, guardare online video di gatti alle tre di notte. La morte anima ogni spinta creativa e distruttiva che alberga nell’essere umano. Prima arriveremo a capirlo, e prima arriveremo a capire noi stessi”.


Lezioni sulla morte, dunque. Che non risparmiano alcun  dettaglio - dal primo incontro di Doughty con la “storta”, la macchina crematice, al trucco dei volti, dalla rimozione dei pacemaker, all'imbalsamazione,  dalla polverizzazione delle ossa, ai colori delle salme, un'incredibile palette dal nero al verde acido -  ma non indugiano mai nel macabro o nel morboso, anzi sono talmente particolareggiate, e con frequenti digressioni storiche e nei riti della sepoltura, da sfiorare la trattazione accademica, come dimostra l’imponente bibliografia.

Ma quel che rende il libro irresistibile, è il registro apparentemente .asettico dell’autrice, il distacco con cui descrive ogni incontro ravvicinato, ogni dettaglio sconosciuto (e che evitiamo accuratamente di chiedere) dell’industria della morte, senza renderlo schifiltoso, respingente, ma riuscendo a farci sorridere, ridere, arrabbiarci, empatizzare.

Perché questo è l’obiettivo dì Doughty e ce lo spiega proprio raccontando come la sua esperienza nel sistema funerario americano le abbia fatto cambiare idea sull’obiettivo della sua personale impresa: non rendere “divertenti” i funerali, con i pezzi rock amati dal defunto suonati per i congiunti che bevono punch senza guardare la bara, non “ personalizzarli” aggiungendo inutilità a una lista di costoso merchandising,  ma rendere la morte di nuovo Benaccetta”, in un “bel posto”, con grandi finestre e luce naturale,  dove non sarà negata, nascosta o sterilizzata, ma condivisa.

La morte può essere ingannata, ha imparato Caitlin da bambina, quando il pesce rimasto secco nella boccia d’acqua (a chi non è successo) è stato sostituito dal padre con un altro identico. O dissimulata, come quando i genitori la portarono a mangiare pancake per cancellare il trauma di aver visto una coetanea precipitare dalla balaustra in un centro commerciale, col risultato di creare in lei angoscia, poi rifiuto. “A volte penso a quanto sarebbe stata diversa la mia infanzia se solo mi avessero parlato apertamente della morte, se mi avessero fatto sedere in sua compagnia e stringerle la mano. Ripetendomi che sarebbe diventata la mia amica più cara, che avrebbe influenzato ogni mia mossa o decisione....”.
 
Ogni cadavere è un’avventura, scrive Caitlin. La sua è cominciata facendo la barba al settantenne Byron e sbagliando la direzione della rasatura. Da quella prima esperienza, il suo diario dal crematorio ci svela ogni  risvolto surreale, drammatico, ridicolo della macchina che si mette in moto quando lasciamo questa terra, compresi gli aspetti speculativi. 
L'imbalsamazione, per esempio, divenne un affare durante la guerra di secessione, il conflitto che fece più morti nella storia americana, quando la necessità di evitare la decomposizione sviluppò un agguerrito spirito imprenditoriale e, per la prima volta, trasformò  salme imbellettate in “prodotti” da promuovere e quindi vendere.

Oggi, dal suo sito, Caitlin racconta la morte al tempo del Covid 19, l’epidemia che l’allontana ancora di più dall’essere accolta e benaccetta. Ma per lei, al lavoro su un altro libro, non ci sono dubbi: niente funerali in live streaming.
twitter: @boria_a

Nessun commento:

Posta un commento