sabato 12 luglio 2014

ITS 2014

Virginia Burlina, fantasmi innamorati

Virginia Burlina

Per la laurea specialistica in giurisprudenza le mancano due esami. Ma quando ha avuto la notizia dell'ammissione alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, una delle scuole di fashion design più prestigiose d'Europa, Virginia Burlina, 28 anni, goriziana, non ha avuto dubbi. Ha "congelato" il percorso professionale nella legge e ha deciso di misurarsi con i talenti della moda che approdano ad Anversa da tutto il mondo. Adesso, con il master in tasca, promette che concluderà anche l'altra laurea. Intanto si gode la finale di ITS, dov'è l'unica italiana in concorso, e nella nuova sezione "Artwork", varata quest'anno. Un altro piccolo primato: Virginia Burlina è la seconda designer del Friuli Venezia Giulia (e tra i pochi italiani) mai arrivati tra i finalisti nelle tredici edizioni della manifestazione. Sente un po' di pressione?
«Un po' sì, ma sono abituata a quest'esperienza, anche ad Anversa ero l'unica del mio corso. Abbiamo iniziato in due, poi l'altro studente è stato bocciato e sono arrivata sola al Master in Fashion design».
Una stranezza: tra i pochi italiani finalisti a ITS, c'è stato il precedente di Andrea Cammarosano, di Trieste e anche lui allievo ad Anversa...
«Certo, nella mia stessa accademia. Non l'ho conosciuto, ma ne ho sentito parlare a scuola. È un nome...».
Lei era una bambina quando lo Swatch è diventato icona pop. Come l'ha reinterpretato?
«Ci è stato lasciato un approccio molto libero. Restringere il campo all'oggetto in sè sarebbe stato limitativo. Ho cercato di creare una visione. Non ho pensato direttamente all'orologio, ma ho inventato una storia che alla fine si può applicare a qualsiasi oggetto».
E che storia è?
«Proseguendo sulla traccia della mia collezione per il Master, dove raccontavo una vicenda di cuori spezzati, ora m'ispiro a una storia d'amore tra fantasmi. In una stanza è stato lasciato un velo da sposa ricamato da lei, come un souvenir del rapporto. Gli spettatori vedranno un quadro, dove i ricami, eseguiti sul tulle, fluttuano e danno l'idea del fantasma. Ho utilizzato perline di vetro coloratissime, davvero di tutte le tinte e sfumature. Un lavoro impegnativo, ma il risultato si è visto subito ed è stato uno sprone ad andare avanti».
Ma è vero che ha convinto a ricamare tutta la sua famiglia?
«Prima ho imparato io, poi ho praticamente obbligato mia mamma, mia sorella, mia zia. Ho insegnato a tutte la tecnica e loro mi hanno dato una mano fondamentale anche per la collezione di Anversa. In fondo, quando hai imparato bene, si tratta di un'attività ripetitiva. Così io facevo il disegno e sceglievo in linea di massima i colori, e loro andavano avanti secondo la loro sensibilità. Avrei potuto far realizzare il ricamo di perline da una manifattura in India, ma nelle mie creazioni non c'è una trama rigida da seguire, una parte è affidata alla spontaneità. Perchè il bello sta anche nell'irregolarità».
Ci racconti la collezione del Master...
«Si intitola "Lunatica" e si ispira a un'outsider artist, Sir Marguerite, che finì in manicomio dopo essere stata abbandonata sull'altare. Qui cominciò a ricamarsi un abito da sposa con i fili delle lenzuola dell'ospedale. Nella collezione ho cercato di combinare quest'idea del lavoro lento, maniacale, con quello della spontaneità dell'amore. Non ce l'avrei fatta senza l'aiuto della mia famiglia. Per ogni colore c'erano dieci diversi tipi di perline, così ho lasciato libertà a ciascuna di interpretare il disegno».
La rivista Elle l'ha definita "l'orgoglio italiano di Anversa"...
«Mi ha fatto piacere, ma sono molto autocritica. E resto con i piedi per terra».
Lei ha partecipato anche al concorso Mittelmoda di Gorizia. Quindi crede in questa strada...
«L'anno scorso a Mittelmoda ho vinto il premio assoluto per la ricerca e la sperimentazione. Credo che valga la pena provarci per avere l'opportunità di mostrare il proprio lavoro di un anno, piuttosto che tenerlo tutto a impolverarsi in uno stanzino. Già ad Anversa coltiviamo molti "contatti", ma i concorsi ti abituano a spiegare la collezione a una giuria di sconosciuti e a ottenere una critica più obiettiva. Nell'ambiente accademico chi ti giudica ti segue tutto l'anno e sa che cosa ti ha ispirato, mentre, davanti a chi non sa niente di te, il tuo lavoro deve parlare da solo. Anche al Master di Anversa abbiamo una giuria esterna, con il doppio vantaggio di poterti presentare a persone da cui ti farebbe piacere essere notata e di ottenere feedback importanti».
Che cosa si aspetta da ITS?
«Il progetto per la sezione "artwork" non ha niente a che vedere con quanto ho fatto finora, quindi mi aspetto l'opportunità di mostrare il mio porfolio, la mia collezione».
Che critiche ha ricevuto finora?
«Dicono che sono "molto italiana" nella sensibilità per i colori e in un senso dell'eleganza che noi abbiamo insito, e che altri paesi meno».
Se conoscerà Consuelo Castiglioni di Marni, una delle sue stiliste preferite, che cosa le chiederà?
«Un lavoro! Scherzo, le mostrerò il mio, prima di tutto. Mi piacerebbe restare in Italia, ma qui sembra tutto più inaccessibile. Ho un'offerta da Dries Van Noten, ho contatti a Londra e Parigi, ma finora, in Italia, niente».
Come definirebbe il suo stile?
«All'inizio avevo il rifiuto per l'Italia. Poi, quando ti rilassi e cominci a capirti, accetti le tue radici e ne fai un punto di forza. Se cerchi altro, per esempio di imitare le scuole nordiche, ti appiattisci, se valorizzi quello che hai dentro, riesci a creare qualcosa di speciale e unico».
Rifiuto dell'Italia, perchè?
«Quando ho deciso di cambiare il mio corso di studi, ho messo da parte il passato. Però ad Anversa si fa un percorso introspettivo profondo e si ha modo di riscoprirsi».
Che cosa non le piace del mondo della moda?
«Dicono che ad Anversa gli studenti vivono in una "bolla", neanche lontanamente simile al mondo che c'è fuori. Si è protetti e tenuti lontani dalla realtà. Il livello è altissimo e starci dietro è dura, ma non facciamo nemmeno stage per non essere "contaminati". Tutto è proiettato a farci crescere artisticamente. Quelli dell'accademia sono anni magici, quindi non so quasi nulla del mondo esterno. Ma lo scoprirò e sono pronta a tutto».
Il prossimo progetto?
«Il 1° luglio ho incontrato Dries Van Noten, con cui inizio una collaborazione. Poi cercherò uno stage, comincerò dal basso, mi impegno e non mi spaventa. Mi piacerebbe lavorare da Marni, da Prada o da Valentino».

twitter@boria_A

La collezione di Virginia Burlina

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