lunedì 15 giugno 2015

LA MOSTRA

Fashion in Motion a Lubiana
Moda e glamour dalla Dolce Vita in poi


Abito da sera firmato Sorelle Fontana, 1953-1955, della collezione Quinto e Tinarelli


Moda italiana versus moda slovena? Messa così la questione, sembrerebbe un confronto con poco stile, quantomeno impari e sproporzionato. La mostra Fashion in motion, che si inaugura il 16 giugno alle 19 al Museo etnografico sloveno di Lubiana (dove sarà visitabile fino all'8 novembre), ha invece un obiettivo diverso. Basta leggere il “sottotitolo” per capire gli ordini di grandezza. Nessun paragone, la moda italiana è la protagonista, ma l’allestimento si propone allo stesso tempo di mettere a fuoco il contesto storico-politico nell’ex Jugoslavia nei suoi riflessi sull’abbigliamento proprio negli stessi anni in cui nasceva il made in Italy.
“Fashion in motion”, dunque, vuole essere una mostra interdiscipliare, in una duplice prospettiva. “Italian style 1951-1990” abbraccia una stagione lunghissima, prima il debutto della moda italiana e il suo affermarsi negli anni della “dolce vita” e della Hollywood sul Tevere, poi lo sviluppo di un prêt-à-porter altrettanto originale e di qualità. Dall’altro punto di vista, quello sloveno, ci sono solo “glimpses”, colpi d’occhio, piccoli ma significativi, dalla fine degli anni ’50 in poi, attraverso immagini e spezzoni di film che testimoniano l’identità e l’evoluzione del mondo di vestire dai tempi della Jugoslavia alla società dell’immagine degli anni Ottanta.
La mostra, che aprirà alla presenza dell’ambasciatrice italiana in Slovenia, Rossella Franchini Sherifis e dal ministro della Cultura della Repubblica slovena, Julijana Bizjak Mlakar, è stata curata da Nina Zdravic Polic del Museo etnografico, in collaborazione con esperti di istituzioni italiane e slovene, tra cui Raffaella Sgubin, sovrintendente del Museo della moda di Gorizia e Mateja Benedetti, stilista e docente alla Facoltà di design dell’Università di Lubiana.
Allestimento di grande effetto, complici le gigantografie delle foto di Federico Garolla, il reporter che ha colto e documentato il “glamour” degli anni Sessanta, con le indossatrici immortalate in solenni scorci urbani, sotto gli occhi ipnotizzati dei passanti. Su un enorme monitor scorrono le immagini di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni nella fontana di Trevi, la sequenza de “La dolce vita” di Fellini che, meglio di chiunque altra, ha raccontato ed esportato nel mondo il fascino di un’epoca. Dalle Teche Rai provengono i video sulle origini del made in Italy: la prima sfilata a Villa Torrigiani, a Firenze, magione del geniale marchese Giovan Battista Giorgini, che convinse le sartorie italiane a fare fronte comune e a presentarsi ai compratori americani con le loro collezioni. Era il 12 febbraio 1951: la sfilata dei nove atelier - tra cui le Sorelle Fontana e Schuberth, presenti nella mostra di Lubiana - fu un successo, l’anticamera delle sfilate alla Sala Bianca di Firenze, dove, dal 1952 fino agli anni Sessanta, la moda italiana si mise in vetrina, sempre meno “couture” e sempre più prêt-à-porter. Colorato, perfettamente tagliato, fresco, pratico, elegante.
Al centro del percorso, su una pedana a più livelli, gli abiti di una ventina di stilisti, nella maggior parte provenienti dalla raccolta della Fondazione Sartirana Arte (Pavia), oltre a due modelli di Roberto Capucci, prestati dall’omonima Fondazione, e ad altri due provenienti dalla collezione Quinto Tinarelli. Le Sorelle Fontana (quasi un omaggio a Micol, l’ultima, che se n’è andata venerdì scorso a 101 anni), Emilio Schuberth, Valentino, Irene Galitzine, Emilio Pucci, Gianfranco Ferrè, Krizia, Missoni, Versace sono un’antologia delle origini della moda nazionale che si affranca dalla scopiazzatura francese e, attraverso i decenni, va alla conquista del mondo con i suoi tagli, i suoi materiali pregiati, il suo estro, la sua squisita artigianalità, la capacità di rinnovarsi. In un altro spazio del percorso, è stato allestito l’«atelier di uno stilista»: grucce appese a un binario in movimento propongono trompe l’oeil di Roberta di Camerino, cappottini di Capucci, le inconfondibili stampe di Pucci.
Abito "Arancio" di Roberto Capucci, 1982 (foto Claudia Primangeli)

A rappresentare l’attuale moda slovena ci sono alcuni modelli di Mateja Benedetti, designer di un’eco-couture dal taglio “scenografico” (non a caso è un’apprezzata costumista teatrale) che utilizza solo fibre e tinture naturali, prodotte a chilometro zero, e poi di Urška Drofenik, Maja Ferme, Maja Štamol Droljc, Svetlana Visintin.
I loro “outfit” sono il raccordo tra passato e presente. Una video installazione con spezzoni provenienti dagli archivi della tv slovena ci porta indietro nel tempo: gli anni ’50 quando la moda era lavoro, pagato e tutelato dai diritti, i ’60 con l’apertura dei grandi magazzini Modna hiša a Lubiana e il messaggio forte che la modernizzazione del paese passa attraverso il mercato, gli anni ’70 con la dicotomia nello sviluppo tra città e campagna, gli anni ’80 delle crisi economiche, dei prestiti internazionali e la consapevolezza che l’abito nasce lontano dai propri confini e vive di immagini, affascinanti ma anche ingannevoli.


Abito "Violoncello" di Roberto Capucci, 1982 (foto Amedeo Volpe)

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