lunedì 8 giugno 2015

IL LIBRO
Jackie: Così i Capi di Stato cadevano ai miei piedi
Biografia romanzata della più famosa first lady firmata da Adriano Angelini Sut


Jackie e il presidente JFK fotografati su Life nel 1961

Se fosse davvero il racconto della sua vita scritto da lei, a Jackie bisognerebbe riconoscere una sincerità quasi masochistica. A nessuno fa piacere ricordare, e tramandare ai posteri, di essere stata definita jettatrice, brutta come un vampiro, a letto fredda che neanche un cadavere. Di essersi impasticcata per vincere lo stress e attaccata alla bottiglia per reagire al dolore. Di aver sedotto Marlon Brando con la furia di un animale e di essersi risposata con un uomo esteticamente impresentabile, oltre che violento e sessista, solo per i suoi miliardi. Di portarsi addosso, e sulla stampa internazionale, un abbreviativo ispirato a un film porno sadomaso.
Ma, appunto, non stiamo parlando del diario autografo della first lady ancora più famosa di tutte, nè di una sua confessione registrata, come quella fatta allo storico Arthur Schlesinger e ancora, in buona parte, coperta dal segreto. “Jackie” di Adriano Angelini Sut (edizioni Gaffi, pagg. 384, euro 18,00) è invece la biografia romanzata di Jacqueline Lee Bouvier, vedova Kennedy risposata Onassis. Donna, icona, trendsetter invidiata, imitata, copiata di qua e di là dell’Oceano, non solo nei mille giorni in cui, con JFK, regnò su Camelot, ma anche quando, trasferito il suo trono a Skorpios, tra i veleni, gli odi e gli agguati della famiglia Onassis, incrinò il sogno di milioni di fan che la volevano vedova Kennedy, glamour e martire, per sempre. Il libro verrà presentato in anteprima l'11 giugno, alle 17.30, all’Associazione italo-americana di Trieste in piazza Sant’Antonio dal suo autore e dall’editore Alberto Gaffi, che ha rilevato la “Italo Svevo” di Trieste. 
La copertina di "Jackie" di Adriano Angelini Sut (Gaffi)

Angelini, scrittore e traduttore, finge che Jackie, ormai alla vigilia della morte per cancro ai polmoni, avvenuta nel 1994, racconti gli anni più intensi della sua vita, come in un lungo monologo, al fratellastro Yusha Auchincloss III, figlio del secondo marito di sua madre. Un espediente letterario - dice l’autore - scelto per presentare i fatti «secondo un punto di vista alternativo» e per ridare alla signora il suo «ruolo politico», spesso sottovalutato nei fiumi di libri e articoli dedicati alla saga di potere e sesso dei Kennedy.
Una Jackie, quella immaginata da Angelini, che si mette a nudo, esplicita e diretta fino al gusto del macabro, soprattutto nelle pagine sull’assassinio del presidente a Dallas, quando l’autore indugia sui pezzi del cervello di “Jack” schizzati sul famoso vestito - disegno e tessuto Chanel ma confezione nella sartoria Chez Ninon di Park Avenue - e sull’ultima carezza al pene del marito fatta nella morgue.
C’è un punto, però, su cui Angelini si affida all’intuizione e all’immaginazione del lettore e fa arenare la confessione su un punto di domanda: «E tu vuoi sapere se ho avuto una relazione con lui?». È il racconto della liaison che Jackie, rimasta vedova, intrecciò con Bobby, fratello del presidente, ucciso a sua volta nelle cucine dell’Hotel Ambassador a Los Angeles quando già vedeva la Casa Bianca a portata di mano.
Che si siano amati scandalosamente e apertamente nei lussuosi appartamenti di New York dove entrambi si erano trasferiti dopo Dallas è storia nota, che abbiano condiviso un grande dolore e i sospetti sulla mano del vicepresidente Lyndon Johnson nell’assassinio di JFK, è stato scritto e detto più volte. Ma Bobby era sposato con Ethel, aveva dieci figli (un altro nascerà dopo la sua morte) e grandi ambizioni politiche, lei era la vedova del fratello presidente: un divorzio e un matrimonio sarebbero stati fuori discussione.
Potrebbe, la Jackie di Angelini, confessare fino in fondo il rapporto con l’uomo con cui si sentì più desiderata e sessualmente appagata? Forse no. Lo chiama “flirtare” ed è avara di dettagli, se non indiretti.
Fingiamo anche noi, allora, come lo scrittore, che sia stato più facile parlare di Jack «che durava poco» e dell’irsuto Onassis, ai cui desideri confessa di essersi concessa, sullo yacht Christina, senza darsi nemmeno la pena di chiudere la porta della suite (e, almeno agli inizi, al di là dei rapporti obbligatori prescritti dal rigido contratto prematrimoniale).
Di Bobby sappiamo attraverso l’insofferenza della moglie Ethel. «Wow, non sarebbe fantastico se tornassimo alla Casa Bianca?», si lascia sfuggire Jackie quando lui accetta di correre per la candidatura dei democratici alla presidenza. «Tornassimo chi?», la fulmina la cognata. Era gelosissimo di Onassis e, dopo aver dato in escandescenze alla notizia del fidanzamento, la prega di tenere segreta la notizia fino alle elezioni, per non annientare la sua immagine. Sarà Jackie, però, e non la cattolica Ethel, a decidere di staccare la spina davanti all’encefalogramma piatto di Bobby.


Sull’annuario di fine liceo aveva scritto “non farò nè la casalinga nè la moglie”. Programma di minima, per una first lady più amata all’estero che in patria, dove, complici abiti esclusivi e conversazione brillante, giocherà un ruolo chiave nel gradimento internazionale di JFK.
Durante il primo viaggio in Francia incantò De Gaulle. In una Versailles illuminata solo a candele, si presentò a cena avvolta nel tubino bianco di seta avorio firmato Givenchy, con un lungo mantello che lasciava intravedere le spalle: «Sembra uscita da un dipinto di Watteau», le sussurrò il generale e, all’indomani, i quotidiani francesi titolavano “Versailles ha la sua regina”. I rapporti con De Gaulle rimasero sempre stretti: sarà lo statista francese, su richiesta di Bobby e Jackie, a fornire il famoso dossier sul complotto economico-politico-mafioso dietro la morte di JFK, redatto dai suoi servizi segreti. 
Jackie durante la visita in Pakistan nel 1961

Per la cena con Khrushchev allo Schönbrunn di Vienna, Jackie scelse un abito rosa senza maniche che il suo stilista americano di fiducia, Oleg Cassini (perchè anche lei, come Michelle, dovette sottostare a una certa real politik del guardaroba...), disegnò ispirandosi a un analogo modello di Dior. Il leader sovietico rinfacciò a Kennedy il poco polso con Castro a Cuba, minacciò guerra da ogni parte e annunciò la costruzione del Muro di Berlino, mentre dalla first lady americana si fece intrattenere con una conversazione leggera sui tre cagnolini spediti in orbita. I colloqui diplomatici furono un fallimento, ma due mesi dopo Khrushchev fece recapitare dall’ambasciatore russo alla signora della Casa Bianca un cucciolo terrorizzato di nome Pushinka.
In Pakistan e India, nel 1961, Jackie andò senza il marito, accompagnata dalla sorella Lee e, tra cavalcate ed escursioni in elefante negli abiti accesi di Balenciaga (rifatti da Cassini), la missione colpì l’immaginario come evento mediatico-mondano, più che diplomatico.
Jackie con JFK, il premier indiano Nehru e la figlia Indira Gandhi
Il presidente non era necessario, bastava Jackie a conquistare le folle. Tant’è che il successore di Jack, 
Lyndon Johnson, chiederà nel 1967 alla vedova, che avrebbe sposato Onassis l’anno dopo, di volare in via informale fino in Cambogia per arginare l’ondata anti-americana seguita alla guerra in Vietnam. L’abito verde acqua monospalla disegnatole per l’occasione da Valentino e consacrato dal servizio di Life, è rimasto nell’immaginario collettivo e non sono bastati i colori accesi di Michelle Obama, prima first lady effettivamente in carica a mettere piede in Cambogia, a surclassarlo.

@boria_a

Jackie durante la visita in Cambogia nel 1967 vestita da Valentino


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