giovedì 15 ottobre 2015

 LA MOSTRA

Fiore de Henriquez, ritorna a Trieste la scultrice intersessuale


Ritratto di Fiore de Henriquez firmato nel 1954 da Felix Fonteyn (Archivio F. de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive Trieste)

 TRIESTE Nell’unica sua opera rifiutata, “Brother and sister”, la sola tornata indietro delle oltre quattromila che realizzò su commissione, ci sono tutte le sue ossessioni. Un maschio molto femminile e una donna molto maschile: due fratelli, il tema del doppio, dell’ambiguità di genere. Chi l’aveva ordinata non si riconobbe in quelle figure così sessualmente poco definite, quasi in transizione tra loro. Così il gesso dipinto rimase all’artista, la scultrice Fiore de Henriquez, e sarà visibile dal 16 ottobre (l’inaugurazione è alle 18.30) alla DoubleRoom arti visive di via Canova 9 a Trieste, dove fino al 29 gennaio è allestita la mostra “In love with clay”, innamorata della creta. È l’omaggio - il primo fotografico-biografico - curato da Massimo Premuda e Dinah Voisin alla sorella di Diego de Henriquez, scultrice di fama internazionale, a undici anni dalla morte avvenuta a Peralta, in provincia di Lucca, nel 2004, quando aveva 84 anni ed era malata da tempo di Alzheimer.
 
Fiore de Henriquez con il fratello Diego a Trieste negli anni '20 (Archivio Fiore de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive)


Se quella di Diego, collezionista di cimeli militari al quale è dedicato il Civico museo di guerra per la pace, è una vita esplorata e ben conosciuta a Trieste, pochi giorni fa tornata sotto i riflettori grazie all’ultimo libro di Claudio Magris, quella di Fiore, la sorella di dodici anni più giovane, altrettanto eccentrica e straordinaria, in patria non ha avuto lo stesso riscontro. Strano destino, a dispetto di una fama di scultrice presto ottenuta nel jet set internazionale angloamericano e di una biografia per certi versi molto più interessante e affascinante di quella dell’amato fratello.
Il gesso “Brother and sister” ci mette sulla strada giusta: è la sintesi delle inquietudini dell’artista, del tormento di una natura doppia e insieme unica, che varca la frontiera delle identità.
Fiore era intersessuale. Nacque a Trieste nel 1921, femmina, e da bambina vestita come tale. Nell’adolescenza, però, il suo corpo cominciò a trasformarsi e sviluppò organi genitali maschili. Donna e uomo al tempo stesso, a cavallo tra i ruoli tradizionali di genere, sessi distinti in un’unica persona. Lei, pur giovanissima, non fu sconvolta dalla mutazione, anzi, abbracciò la sua ambiguità come un dono eccezionale e si dichiarò “orgogliosa di essere ermafrodita” e di contenere “due persone in un corpo solo”.


Fiore de Henriquez ritratta da Felix Fonteyn (Archivio F. de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive)

 Studiò all’Accademia di Belle arti di Venezia con Arturo Martini, poi scultura in legno a Cortina e scultura in pietra a Firenze con Antonio Berti, di cui diventò assistente. L’intersessualità fu una componente importante della sua scelta artistica: in un mondo dominato dai maschi demiurghi, Fiore si impose per l’energia maschile dello scolpire unita a una sensibilità interpretativa femminile. Un unicum all’epoca scandaloso.
Una cinquantina di fotografie originali, divise in quattro sezioni, provenienti dall’Archivio Fiore de Henriquez di Peralta, di cui è responsabile l’amica inglese Dinah Voisin, e due opere, “Brother and sister”, appunto, e “The hands”, rifusione del 2001 del ritratto delle proprie mani eseguito dalla scultrice nel 1975, “restituiscono” Fiore alla sua Trieste, dove è sepolta nella tomba de Henriquez al cimitero militare.
La prima sezione è proprio dedicata agli anni triestini, con immagini che presentano la residenza della famiglia, “Casa Castagna” in via San Nicolò 2, e poi Fiore nel 1952 accanto a un’amica e a Diego su un treno, con nave da guerra come sfondo, nel campo che il fratello aveva affittato sul colle di San Vito per i suoi pezzi, e ancora, nel 1952, l’artista davanti al liceo Carducci, all’epoca Istituto magistrale governativo. In questo spazio ci sono anche le testimonianze del carteggio con l’amica pittrice Maria Lupieri (messe a disposizione dalla nipote Fulvia), con cui si tenne sempre in contatto. Nell’agenda di Maria c’è l’indirizzo londinese di Fiore e anche nel quaderno dove annotava le persone cui inviare i pieghevoli delle sue mostre, accanto ai recapiti di Leonor Fini a Parigi e di Aurelia Gruber Benco. Nel 1947 Fiore espose le sue opere per la prima volta, sia a Trieste che a Firenze, ma in città se ne parlò poco. Da lì l’oblio, da cui l’ha riscattata finora solo il giornalista e scrittore Roberto Curci nel suo libro “La bora in testa” (2005), celandola sotto lo pseudonimo di Fiore de Torres e raccontando il disvelamento della sua doppia natura sessuale davanti a una modella.


Fiore de Henriquez al lavoro (foto Felix Fonteyn, Archivio F. de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive)

 La scultrice lasciò l’Italia nel 1949 per Londra, dopo aver vinto la commissione per un monumento a Salerno e aver visto la sua opera distrutta dai misogini, ma continuò a frequentare Pietrasanta per le fusioni e Carrara per il marmo. Nel 1966 si innamorò di Peralta, borghetto vicino a Camaiore, ne acquistò le poche case e le restaurò personalmente pietra su pietra, trasformandolo in una colonia per artisti di tutto il mondo, che vive tuttora.
Il busto eseguito per il pittore inglese Augustus John fu un impulso decisivo alla sua carriera. Subito ottenne un riconoscimento dalla Royal Academy, per la quale creerà nel 1951 tre figure monumentali destinate al Festival of Britain. Lo studio londinese di Cadogan Square, che Fiore tenne per quarant’anni, divenne meta di celebrità e personalità di sangue blu, prima fra tutti la Regina Madre, di cui realizzò due busti destinati a una nave e a un ospedale. Già nel 1957, a pochi anni dal suo arrivo a Londra, cento personalità dell’arte e della politica inglesi firmarono una richiesta perchè a Fiore fosse concessa la cittadinanza britannica per meriti artistici.


 
Fiore de Henriquez con la Regina Madre d'Inghilterra e il suo ritratto nello studio londinese in Cadogan Square nel 1988 (Archivio Fiore de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive Trieste)




Da allora piovono le commissioni da tutto il mondo. Modella le sembianze di Igor Stravinskij, degli architetti Ieoh Ming Pei e Isamu Noguchi, del primo ministro giapponese Yoshida, del primo sindaco afroamericano di Chicago Harold Washington, del miliardario Huntington Hartford, dell’étoile Margot Fonteyn, degli attori Peter Ustinov, Laurence Olivier, Vivien Leigh, di Oprah Winfrey, Shirley Bassey, della regina americana del gossip Elsa Maxwell e degli italiani Eugenio Montale e Carlo Levi, compagno di vita di Linuccia Saba, conosciuta attraverso la Lupieri.
Nel 1963 ricevette la commissione per un ritratto a John F. Kennedy, che completerà sulla base di foto dopo l’assassinio del presidente. Nel 1992, realizzò un’opera monumentale a Ginevra: una fontana per l’Organizzazione della Proprietà intellettuale delle Nazioni Unite.
Bisessuale ma più orientata verso le donne (a parte una breve relazione col pittore Kurt Kramer nel ’40), Fiore decise a metà degli anni ’60 di sottoporsi a un intervento di “riassegnazione” sessuale, facendosi rimuovere gli organi maschili. Le opere tormentate di quegli anni testimoniano il trauma della scelta. Nel 1985, a Peralta, la scultrice lavorò sulle rovine di una torre e la ricostruì: iniziativa che fu “letta” come una sorta di riconciliazione con l’identità maschile.



Fiore de Henriquez il 28 ottobre 1955 con l'attore Peter Ustinov e il suo ritratto (foto Felix Fonteyn, Archivio Fiore de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive)

La mostra “In love with clay” (dal workshop che tenne tra gli anni ’60 e ’70 in America) è corredata dal libro-intervista di Jan Marsh, cui Fiore raccontò il suo ermafroditismo, e dai testi critici di Valentina Fogher, triestina che opera al Museo dei bozzetti di Pietrasanta, e di Roberto Benedetti sull’artista nella scena cittadina. Lunedì 19 ottobre, inoltre, al Teatro dei Fabbri di Trieste e con l’introduzione di Mila Lazic, verranno proiettati i documentari dedicati alla scultrice di Charles Mapleston e John Tully, sottotitolati in italiano.
Nel Derbyshire, in Inghilterra, esiste il museo privato Fiore de Henriquez, di proprietà della facoltosa famiglia Sitwell A. Renishaw, visitato anche dal principe Carlo. A Trieste una sua opera è custodita nel museo del fratello Diego, altre, con tutta probabilità, si trovano in collezioni private. Chissà che, sull’onda di questa prima mostra, anch’esse si “disvelino”.


Fiore con il principe Carlo nel museo privato Fiore de Henriquez nel castello della famiglia Sitwell A. Renishaw nel Derbyshire (Archivio F. de Henriquez Peralta, courtesy DoubleRoom arti visive)





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