venerdì 26 febbraio 2016

 IL LIBRO

Quante bugie sul sesso da quei monogami Flintstone





I Flintstone, quella perfetta famiglia di antenati felicemente monogamica, non esiste. Anzi, la “flintstonizzazione” del mondo preistorico, cara a molti studiosi, è un’autentica contraffazione. Prendiamo i bonobo, scimmie antropomorfe geneticamente molto simili all’homo sapiens sapiens, che vivono nel cuore della giungla in un paese travagliato come il Congo e per questa loro inaccessibilità sono stati tra gli ultimi mammiferi studiati nel loro habitat naturale. Per i bonobo, a differenza degli aggressivi babbuini, sempre in lotta per il potere, lo stress non è un problema. Femmine in posizione preminente ma, soprattutto, poca guerra e molto sesso, passatempo quasi quotidiano e allegramente promiscuo. Gli accoppiamenti servono ad allentare la tensione, a stimolare la condivisione del cibo durante i pasti, a favorire l’armonia negli spostamenti e a riaffermare l’amicizia nelle riunioni più agitate. Insomma, un fate l’amore non la guerra che si traduce in un modello di società matriarcale, pansessuale e pacifico, dove i maschi, pur sottomessi, non si trovano affatto male, anzi sembrano godersela molto di più rispetto ai colleghi scimpanzè e babbuini.
Perchè allora c’è tanta resistenza nel mondo scientifico all’idea che gli ominidi godessero di bassi livelli di stress e di molta libertà sessuale? È vero quello che sostiene Hobbes che la vita umana nella preistoria era “solitaria, povera, repellente, brutale e breve”? È fondata la teoria dell’«evoluzione sessuale» di Darwin, secondo cui i maschi lottano tra loro per accaparrarsi la femmina passiva e fertile, in un contesto così competitivo da scoraggiare qualsiasi libertà sessuale?


 
Affettuosità tra bonobo



Per Christopher Ryan e Cacilda Jethá, due studiosi statunitensi - lui esperto in sciamanesimo ed etnobotanica, lei, medico, in comportamenti sessuali, tra loro sposati - queste teorie fanno acqua da tutte le parti e muovono da un fraintendimento: ricondurre il matrimonio alle prime forme sociali e la monogamia a pratica seguita perfino nelle relazioni delle scimmie antropomorfe. Non c’è da stupirsi, dunque, che il loro “In principio era il sesso. Come ci accoppiamo, ci lasciamo e viviamo l’amore oggi” (“Sex at Dawn”), poderoso ma ironico e scanzonato saggio sull’amore ai tempi dei progenitori, tanto infarcito di dati e citazioni quanto leggero e divulgativo, abbia gettato un sasso nella comunità scientifica americana, scatenando polemiche vivaci. Best seller del “New York Times” e tradotto in quindici lingue, esce in Italia con Odoya editore (euro 22,00, pagg. 383). www.odoya.it


 
Christopher Ryan e Cacilda Jethà

 
Fin dai tempi di Darwin ci è stato detto che nella nostra specie la monogamia è un istinto naturale. E allora perchè oggi il matrimonio è così pesantemente in crisi, perchè crescono divorzi e tradimenti, perchè l’abitudine e la noia uccidono la libido? E perchè nei matrimoni longevi sono spesso gli interessi economici e la stabilità per la prole a far da collante, sacrificando qualsiasi stimolo erotico?
Il punto di partenza di Ryan e Jethà sono gli errori di Darwin che, con la sua opera brillante, avrebbe, suo malgrado, conferito una patina scientifica “a ciò che è essenzialmente un pregiudizio antierotico”. Quando, nel 1859, fu pubblicata “L’origine della specie”, la preistoria - dicono gli autori - era pressochè sconosciuta, gli studi sui primati agli inizi e le conoscenze sui 200mila anni in cui persone anatomicamente moderne vivevano senza agricoltura e scrittura, limitate agli insegnamenti della chiesa. Non c’è da meravigliarsi, dunque, che Darwin, pur geniale, descrivesse come “naturale” e “inevitabile” l’incontro tra un maschio alfa e una femmina riservata e riottosa, pronta a concedere i suoi favori sessuali in cambio di stabilità economica e affettiva per sè e i figli (la triste scienza dell’«economia sessuale») e a congiungersi col compagno solo a fini riproduttivi. Una concezione perfetta per l’ipocrita società vittoriana, dove - scrive l’autore de “La donna del tenente francese”, John Fowles - «si sosteneva all’unanimità che le donne non hanno orgasmo e si insegnava a ogni prostituta come simularlo». Il filosofo Schopenhauer sintetizzava: «Nella sola Londra ci sono 80mila prostitute; che altro non sono, queste, se non sacrifici offerti sull’altare della monogamia?».
Di quanto poco si sapesse all’epoca di sessualità femminile racconta il delizioso “Hysteria”, il film di Tanya Wexler del 2011, in cui la provvidenziale invenzione del vibratore salva tante insoddisfatte da una diagnosi frettolosa che poteva condurre anche all’isterectomia. Nel 1875 Lord Acton, storico e politico britannico, asseriva: «La maggioranza delle donne non è turbata da tensioni sessuali di alcun tipo (il che è un bene tanto per loro quanto per la società)». Eppure in ogni cultura del mondo gli uomini si sono dati molto da fare per controllare questa inesistente libido: dai roghi delle streghe nel Medioevo alle cinture di castità, dal chador alle mutilazioni genitali femminili, per finire con le paternalistiche diagnosi mediche di isteria e ninfomania e col disprezzo sociale per le donne che vivono apertamente la loro sessualità.


"Hysteria"  di Tanya Wexler

E adesso? «Dopo aver scritto un intero libro sul sesso - filosofeggiano Ryan e Jethà - ci piacerebbe puntualizzare in modo meno strutturato che la maggior parte di noi prende il sesso fin troppo sul serio: quando è solo sesso, non c’è altro da aggiungere. In quel caso, non è amore. Nè peccato. Nè patologia. Nè una buona ragione per distruggere una famiglia altrimenti felice». Insomma, concludono: un ragionevole rilassamento nel moralismo dei codici sociali che rendesse l’appagamento sessuale più facilmente disponibile, lo farebbe diventare anche meno problematico.
Per dirla con Goethe «l’amore è una cosa ideale, il matrimonio una cosa reale». E «la confusione del reale con l’ideale non resta mai impunita». Non dobbiamo quindi per forza insistere su una visione “ideale” del matrimonio fondata sulla fedeltà sessuale duratura a una sola persona («che la maggior parte di noi alla fine capisce essere altamente utopica», perchè la passione se ne va col tempo), nè lasciare il partner infedele, distruggendo così l’unione e la serenità dei figli. L’antropologa Sarah Hrdy suggerisce un approccio più tollerante: «A partire da Darwin - scrive - abbiamo dato per scontato che gli umani si sono evoluti all’interno di famiglie dove una madre faceva affidamento su un solo maschio per tirare su la prole in un nucleo familiare; eppure la diversità degli assetti familiari umani si comprende meglio presumendo che i nostri antenati si siano evoluti come allevatori cooperativi».
Tornando ai bonobo, la “cooperazione” favorisce la rilassatezza individuale e l’armonia della comunità. Per le coppie di oggi, gli autori suggeriscono - forse davvero un po’ utopisticamente - una franca conversazione su uno dei territori in cui per uomini e donne sarà sempre difficile comprendersi a vicenda: il desiderio sessuale. Molte donne troveranno difficile accettare che gli uomini dissocino con tanta facilità piacere sessuale e intimità emotiva, e altrettanti uomini faranno fatica a capire perchè queste due sfere siano spesso così interconnesse per le donne. «Ma se abbiamo fiducia - concludono Ryan e Jethà - possiamo lottare per cercare di accettare perfino quello che non capiamo».
Dopo i Flintstone, però, gli autori distruggono un altro mito. Ricordate le tenere famigliole de “La marcia dei pinguini”, il documentario campione di incassi nel 2005?


 
"La marcia dei pinguini"


Nell’attitudine al sacrificio per la prole e l’uno verso l’altro, molti spettatori hanno visto un riflesso della propria vita matrimoniale, sentendosi prendere da una sentimento di “antropomorfica fratellanza” verso i simpatici uccelli acquatici sferzati dalle bufere dell’Antartico. Quell’esempio ideale di monogamia, però, dura solo fino a che i piccoli hanno imparato a nuotare: poco meno di un anno. Dopodichè mamma e papà, con un divorzio rapido e indolore, tornano in pista, o meglio, sul ghiaccio. Vivono in genere trent’anni, durante i quali questi “genitori modello” formano almeno due dozzine di famiglie.
twitter@boria_a

Nessun commento:

Posta un commento