giovedì 11 febbraio 2016

 IL LIBRO

 Diavolo di una frivolezza, che ci fa accumulare oggetti e abiti


 
Gertrude Stein



Gertrude Stein gelosa, che regala alla compagna Alice Toklas un ingombrante anello di diamanti non come pegno di fedeltà, ma per ostacolare il baciamano degli uomini. La marchesa Casati che, per ogni evenienza, nasconde una dose d’assenzio nel pomo del suo bastone d’argento, mentre Virginia Woolf pianta il suo sulla riva del fiume, l’ultima traccia lasciata dalla scrittrice sulla terra prima di suicidarsi. E il cappello? Marinetti inneggia alla praticità della paglia nel suo manifesto futurista del copricapo, ma in realtà preferisce la bombetta, proprio come De Amicis, Eliot, Waugh, Vitaliano Brancati che, secondo Montanelli, compie un atto di silenzioso eroismo nel portarla quando il fascismo la mette fuori moda. Il doppiopetto, invece, genera uno scambio gustoso di battute negli afosi giardini di Princeton tra due Premi Nobel: Albert Einstein chiede a Pirandello, chiuso nell’eterno doppiopetto grigio, “Pirandello, perchè non ti togli la giacca?”, e lui, di rimando, “Grazie, ma non soffro il caldo”.
Anello, bastone, cappello. E ancora: profumo, scarpe, sigaro, vestaglia, flirt e fellatio, letto e tradimento e molte altre voci, in un dizionario di oggetti, atti e luoghi della geografia del frivolo e del superfluo. D’altro canto lo dice proprio Einstein: “La prima necessità dell’uomo è il superfluo”. “La nostra sola necessità”, lo definisce, ancora più tranchant, Oscar Wilde. E un ventenne Jean Cocteau scrive sul muro della sua camera “Il troppo è appena abbastanza per me”.


 
Luigi Pirandello


Ancora una volta, come già nel “Dizionario del dandy” o ne “I piaceri dei grandi”, Giuseppe Scaraffia ci racconta, in un instancabile, raffinato e avviluppante gioco di aneddoti e citazioni, la dittatura delle cose nella vita e nell’opera dei maestri della letteratura, dell’arte, del pensiero. È “Il demone della frivolezza” (Sellerio, pagg. 226, euro 14,00), quello che, secondo Burgess, possiede i contemporanei. Che non assomigliano per niente agli asceti, ma, ne sono l’immagine rovesciata: il teschio e il crocifisso dei padri del deserto, illuminano il vuoto dell’esistenza, mentre la marea di oggetti di cui si circondano gli uomini di oggi ha il compito di testimoniare che la vita ha senso, il piacere è a portata di mano e la morte si può allontanare. «Il mio rispetto per le cose irrilevanti sta assumendo proporzioni gigantesche» ammetteva Karl Kraus, e D’Annunzio, attestando il trionfo della quantità sulla qualità, «Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi, non ho mai tregua».
Dice Scaraffia: nell’eclissi dell’ideologia, il pensiero, per non smarrirsi nel vuoto, ha bisogno di appoggiarsi all’unica concretezza rimasta, quella degli oggetti. Si spiega così anche l’attenzione in crescita abnorme per la moda: gli abiti parlano al posto delle idee, il look è l’erede delle convinzioni. André Gide sintetizzava: «Bisogna prestare un’attenzione particolare alle calzature, da cui si riconoscono le persone più sicuramente e intimamente che dal resto dell’abbigliamento e dai tratti del viso».


 
Giuseppe Scaraffia


Nelle favole si svegliano i giocattoli, oggi sono gli oggetti a destarsi e a parlarci, a raccontarci il nostro tempo, le sue idiosincrasie, le sue manie, i suoi malesseri. Pensiamo alla vestaglia, che l’autore definisce la tenuta più appropriata per la più privata delle cerimonie: il suicidio. La pittrice Dora Carrington, dopo la morte dell’amatissimo Lytton Strachey, disse addio al mondo in una vestaglia di seta gialla del defunto. Lo scrittore Romain Gary incaricava la segretaria di comprargli le vestaglie nei migliori negozi, ma, prima di spararsi in bocca, si recò personalmente da un rinomato tessutaio inglese per acquistarne una rossa, così da attenutare l’effetto del sangue.

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leggi anche http://ariannaboria.blogspot.com/2012/08/il-libro-gianna-manzini-signore-non.html

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