martedì 26 aprile 2016

 LA MOSTRA

A Lubiana utopie a basso costo nel Museo Metelkova



Il Museo Metelkova a Lubiana (+MSUM, all photos courtesy Dejan Habicht)




Utopie a basso costo. È la mostra al Museo d’arte contemporanea Metelkova a Lubiana (+MSUM www.mg-lj.si/), che, dal 27 aprile all’11 settembre 2016, presenta opere in gran parte provenienti dalla collezione internazionale d’arte dell’Est Europa “Arteast 2000+” della Moderna galerija della capitale slovena. Ottanta opere, divise in venti ambienti, ciascuno caratterizzato da un colore diverso, per capovolgere il concetto modernista del museo come “white cube”, cubo bianco, contenitore non comunicante, e valorizzare l’idea della trasparenza e dell’interconnessione degli spazi. E, idealmente, quello delle culture e del loro dialogo, un tema di stringente attualità, anche nell’arte. L’allestimento s’intitola “Low-Budget Utopias” ed è l’ottavo in cui il Museo Metelkova sviluppa l’idea di una collezione (e dello stesso spazio che la ospita) come strumento per veicolare messaggi, in questo caso per analizzare come l’idea dell’utopia sia trattata dai creativi in contesti meno agiati, come quelli ex socialisti, e come ne siano condizionati. Tra i nomi ospiti, il rumeno Ion Grigorescu, la serba Marina Abramović a Abramovic, il russo Vadim Fishkin, gli sloveni Irwin, Laibach, il collettivo OHO, Jasmina Cibic, Tadej Pogacar, Marjetica Potrc, la coppia ucraina Ilya & Emilia Kabakov, il croato David Maljkovic, l’albanese Adrian Paci, il serbo Mladen Stilinovic.


Yellow di Nedko Solakov nella mostra Low-Budget Utopias


 

 
"Globe Heaters & The World of Maps According to Buckminter Fuller", 2010, di Sašo Sedlacek



 
"Masks on view" di Saša Marković Mikrob




Ieri, alla presentazione, sono intervenute le curatrici della mostra, Zdenka Badovinac, direttrice della Moderna Galerija, e Bojana Piškur. Entrambe hanno sottolineato come “Low-Budget Utopias”, sia una “rilettura” della collezione permanente, realizzata attraverso opere, anche di anni diversi, che esprimono il tema scelto. Il museo, sostengono le curatrici, prendendo a prestito il termine coniato da Michel Foucault, è un’«eterotopia», un luogo aperto su altri, la cui funzione è farli comunicare tra loro. «Ma, mentre altre istituzioni “eterotopiche” come prigioni, ospedali psichiatrici, caserme, si distinguono e si isolano dalla realtà esterna con specifiche regole di comportamento, il museo ha la capacità di entrare nel mondo circostante e, insieme ad altri soggetti, di proporre dei cambiamenti».

 
Arian Pregl (ph. Dejan Habicht)


Ecco dunque il senso della mostra, che prende le mosse dalla peculiare natura delle utopie nell’arte dell’est Europa. In particolare, la collezione “Arteast 2000+”, sottolinea una sua particolarità e cioè il fatto che quest’arte si relazione con espressioni contemporanee di altre culture piuttosto che arroccarsi nella difesa delle tradizioni locali. «Un punto, questo - specificano Badovinac e Piškur - che ha bisogno di essere messo più che mai in luce, nel momento in cui certi paesi ex socialisti si stanno circondando di filo spinato per proteggere il cristianesimo e le loro culture specifiche. In un momento in cui l’utopia di un mondo di differenze armoniose sta crollando davanti ai nostri occhi, dobbiamo pensare alla diversità come a un qualcosa di non implacabile».
Low-Budget Utopias” si interroga quindi su quale modello di museo sia migliore per le ristrettezze in cui devono lavorare artisti e istituzioni nel mondo post-socialista. La risposta? Un “museo sostenibile”, che si differenzia dai ricchi musei dell’Europa occidentale, accumulatori seriali di oggetti da tutto il mondo, e che può sopravvivere solo sviluppando costantemente la sua conoscenza e intrecciando la sua esperienza con quella di altri paesi del mondo che vivono sfide simili.
Tra le opere in mostra, il video e l’ambientazione della provocatoria performance di Marina Abramović del 1974, “Rhytm 0”, con cui sperimentava la relazione tra pubblico e artista, i limiti fisici e mentali del corpo e le possibilità della mente: su un tavolo erano collocati 72 oggetti, incluso un fucile caricato con un singolo colpo, che il pubblico poteva utilizzare per accarezzarla o farle del male. Nel corso delle sei ore in cui sedeva immobile, Marina sente su di sè il progressivo crescere dell’aggressività, ma quando si alza per andare incontro agli spettatori, tutti scappano evitando il confronto diretto.
Sašo Sedlacek, invece, con il suo globo, esprime la paura per il surriscaldamento del pianeta e la perdita dell’equilibrio naturale. In particolare riprende l’idea dell’architetto e filosofo americano Fuller, secondo cui tutte le mappe in uso sono inique, in quanto concentrano le distorsioni dei territori nei paesi meno ricchi. Vinko Tušek, pioniere degli “ambienti” concettuali nell’arte slovena, scomparso nel 2011, è presente con un’opera che è stata riassemblata da Marko Jenko, curatore della Moderna Galerija: un invito a entrare nell’oggetto d’arte o, al contrario, a guardarlo da lontano. Infine, il video di Adrian Paci che trascina il visitatore dentro le migrazioni albanesi in Italia negli anni Novanta.

twitter@boria_a

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