venerdì 22 aprile 2016

IL FESTIVAL

Link a Trieste, Giovanni Floris primo testimonial del "buon giornalismo"


Link nel nome di JM Lopez, il fotografo spagnolo premiato l’anno scorso a Trieste e rapito due giorni dopo in Siria dall’Isis, la cui sorte è ancora un mistero. Un applauso accoglie l’annuncio di Giovanni Marzini, dal palco del grande tendone di piazza della Borsa, che fino a lunedì 25 aprile ospiterà i dibattiti e i confronti del “Premio Luchetta incontra”. Una dedica e subito dopo un ricordo, quello di Fabio Amodeo, il collega triestino scomparso nei giorni scorsi. Un professionista - ancora le parole di Marzini - «che ha insegnato il mestiere a tutti noi».


Il pubblico nella tensostruttura di Link (f. Francesco Bruni per Il Piccolo)

 Si è aperto così, questo pomeriggio, in un contenitore affollatissimo e, per la prima volta, anche animato da una giovane “redazione” di studenti del liceo Petrarca, il primo dei quattro giorni dell’anteprima del Premio Luchetta (www.premioluchetta.it), la cui serata finale è già in scaletta per il 30 giugno. Un mini-festival di “buon giornalismo”, all’insegna dell’intelligenza, della serietà, della modestia, le qualità che Daniela Luchetta, anche lei sul palco per fare gli onori di casa, ha sottolineato nel marito Marco e nei colleghi che hanno perso la vita sul campo e ai quali oggi sono intitolati sia il Premio, sia la Fondazione per le piccole vittime di tutte le guerre. Due iniziative, secondo Beppe Giulietti, presidente della Fnsi, che rendono «fortunata» Trieste, per aver saputo fare della memoria non un monumento fine a se stesso, ma un riconoscimento ai colleghi il cui lavoro illumina i luoghi bui, le periferie del mondo, e un’occasione viva di incontro e di aiuto ai bambini travolti dai conflitti.

Giovanni Floris a Trieste per Link (foto Francesco Bruni per Il Piccolo)

Spazio, allora, al primo interprete del giornalismo virtuoso, Giovanni Floris, e al suo ultimo libro “La prima regola degli Shardana”, che l’ex conduttore di Ballarò, oggi al timone “DiMartedì” su La 7, ha raccontato con grande verve, incalzato dallo stesso Giulietti e da Andrea Filippi, direttore de “La Nuova Sardegna”. Presto detta la storia, con qualche spunto autobiografico nella figura del giornalista famoso e celebrato, ma stanco di ripetitività e rinunce: tre amici, al giro di boa della mezza età, si riconciliano con la vita cercando di rimettere in piedi una squadra di calcio, affidandosi al primo comandamento del fiero popolo sardo degli Shardana, ovvero “non pisciare controvento”. In sostanza “fare squadra”, non lasciare che l’individualismo seppellisca il collettivo, segreto che Floris rivendica alla base del successo dei suoi talk show, tutti partiti in salita e poi esplosi nell’audience. «Perchè - ha detto, fornendo la sua ricetta - noi mettiamo in crisi le sicurezze di chi viene ospite. Giornalismo è fare domande».


 
Floris racconta "La prima regola degli Shardana" (foto Francesco Bruni per Il Piccolo)


Divertente il racconto del Floris papà di calciatori in erba, coinvolto suo malgrado nel temuto “torneo dei padri”, cui accetta di partecipare dopo molti rovelli («sono sovrappeso, se mi fotografano sarò perseguitato tutta la vita...»). Una volta sceso in campo, però, l’amara sorpresa. Nessuno degli altri genitori ha la più pallida idea di chi sia nè lo ha mai visto in tivù (di qui un’altra “para” da vip ignorato...) e quando, causa un infortunio, il mister si decide finalmente a utilizzarlo, lo apostrofa con un sonoro «Giuseppe, va in campo!». E Giuseppe, il carneade Floris, resterà anche nei cori che lo accompagnano fuori dal campo, dopo il clamoroso goal della vittoria segnato al prezzo di un colpo della strega.
Morale? Perdendo un po’ di egocentrismo, vince la squadra. «Il tempo in cui si vive è quello migliore - ha detto il conduttore rispondendo a una sollecitazione di Filippi - ma non accetto il completo dissolvimento di quello che non è legato alla singola persona».
Dopo un brillante excursus che tocca le elezioni romane, il duello Totti-Spalletti e un aneddoto su Franco Selvaggi, campione del mondo nell’82 senza aver mai giocato e nemmeno essere sceso in panchina (con Renzi, l’unico personaggio che nel libro è citato per intero), Floris si congeda con un tweet, social che detesta, come gli hanno chiesto di fare gli studenti: «La chiave del riscatto? Seguite la prima regola degli Shardana».


Pino Roveredo durante il dibattito a Link (foto F. Bruni per Il Piccolo)


 

Lo scrittore tedesco, triestino d'adozione, Veit Heinichen

All’anchorwoman Daniela Ferletta, il compito di introdurre il secondo “salotto”, ospiti gli scrittori Veit Heinichen e Pino Roveredo che, stimolati dal giornalista Pietro Spirito, si sono confrontati sul tema della Trieste di frontiera: per il primo la città prototipo di quelle europee, con mescolanze e devianze, in cui si muove il commissario Proteo Laurenti, protagonista dei suoi noir; per il secondo la città degli «ultimi e dei penultimi», quella vista «di schiena», che ha imparato a descrivere - ha detto - «con la pazienza e l’attenzione degli occhi», grazie ai genitori sordomuti e alla sua prima lingua, quella dei segni. Roveredo ha un libro fresco, “Mastica e sputa”, Heinichen ne ha uno appena consegnato all’editore, “La giornalaia”, su cui - nonostante gli sforzi di Spirito - non fa anticipazioni, se non un vago accenno al tema della «manipolazione delle notizie». Lancia invece un’idea: un festival a Trieste di letteratura internazionale, un evento «che rispecchi la specificità della città». «Perchè Trieste - ha concluso - è sempre protagonista nelle lingue degli altri».
twitter@boria_a

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