mercoledì 16 novembre 2016

IL LIBRO

I migliori oggetti (e forse gli anni) della nostra vita






 C’era una volta la cartolina, quel cartoncino colorato che passava di mano in mano latore di un messaggio destinato a una persona sola, al più a un nucleo “allargato”, che all’epoca si apostrofava enfaticamente con un “gentile famiglia”.... Quando vide la luce in Italia, nel 1873, con francobollo incorporato, il ministro Quintino Sella storse il naso: per i rappresentanti postunitari, eletti dall’uno o due per cento della popolazione, ovvero da loro simili rigorosamente maschi, le piccole gratificazioni delle persone comuni, a basso prezzo, non potevano essere più distanti.

Non avrebbe avuto nemmeno un fastidio, il ministro, se solo avesse immaginato che centocinquant’anni dopo la cartolina è pezzo da collezionisti. Un reperto da bancarella, un termine privo di significato per generazioni abituate a far volare il proprio “pensierino” su Instagram. Il post si è sostituito alla delicatezza del ricordo personale, alla dedizione dell’acquisto e della compilazione del messaggio cartaceo, alla calligrafia del mittente: veloce, anonimo, esibizionistico e compulsivo, infarcito di emoticon, schizza in rete verso una massa indistinta di amici e perfetti sconosciuti.


C’era una volta la macchina da scrivere, con cui risaliamo nel tempo ancora più indietro, all’Italia pre-unitaria. Corre infatti il 1855, dieci anni prima del successo su larga scala della massiccia americana Remington, quando Giuseppe Ravizza, un avvocato di Novara, presenta il suo “cembalo scrivano”, con la scocca in legno, il cui nome si deve ai tasti bianchi e neri simili a quelli del pianoforte. Un’invenzione troppo in anticipo sui tempi, in un paese contadino e analfabeta, diviso in otto stati e oppresso da stranieri. Non basteranno cent’anni (e, nel frattempo, un successo imprenditoriale come quello di Camillo e Adriano Olivetti) per farla entrare nella pubblica amministrazione, se ancora nel 1959 il ministro democristiano Giorgio Bo auspicava l’avvento di dattilografi e stenografi piuttosto che di diavolerie meccaniche per svecchiare la burocrazia.


Sono passati 140 anni da quando Madame de Stäel viaggiava in carrozza per la Germania, fogli, calamaio e penna custoditi nel sécretaire sulle ginocchia, divulgando in “De l’Alemagne”, pubblicato nel 1810, i testi del romanticismo. Ma in un paio di decenni dalla avveniristica macchina da scrivere, la scrittura sarà investita da un’altra rivoluzione: avanzano i computer portatili, in arrivo da Usa e Giappone, ancora più leggeri e ammiccanti dell’elegante Lettera 22. Se le prime tastiere ci ancoravano alla scrivania, oggi smarthphone e tablet ci connettono al mondo, ovunque ci troviamo. L’ufficio ce lo portiamo in tasca, meno ingombrante (ma più invasivo) di un sécretaire.


Cartolina, macchina da scrivere: oggetti smarriti. Automobile, Vespa, lavatrice, telefono: ci hanno cambiato la vita e sono ancora tra noi, evoluti e imprescindibili. Fotoromanzo: oggetto scomparso. Ha fatto sognare milioni di ragazze e, senza che se ne accorgessero, ha ampliato il loro lessico e educato il gusto, mentre il juke-box diffondeva una cultura musicale aperta, inventiva, densa di echi lontani. Oggi le eredi di “Bolero” sono le alluvionali soap opera alla “Beautiful” (dove più che a parlare si impara a contare: i matrimoni dei protagonisti, generalmente tutti tra loro), mentre il gettone per un disco da condividere, con cui si innamoravano i baby boomers, ha lasciato il posto all’ascolto solitario di iPod e cuffiette. “Stanno suonando la nostra canzone” (Loretta Goggi e Gigi Proietti, 1981), non vale più. Seduti accanto, ne ascoltiamo ciascuno una diversa.





I migliori oggetti della nostra vita, raccontano chi eravamo e che cosa siamo diventati. Com’è cambiata la società, che progressi ha fatto la salute, quanti diritti abbiamo acquisito e quanta poesia abbiamo perduto. Gli sforzi che non facciamo più, e i pericoli che corriamo quando la nostra vita viene sbattuta nella grande piazza virtuale della rete, che virtuale non è, perchè ferisce e uccide, come la cronaca di questi giorni insegna.


S’intitola così, “I migliori oggetti della nostra vita”, il libro che la giornalista e storica Marta Boneschi ha pubblicato per Il Mulino (pagg. 350, euro 35,00). Una lunga galoppata - con spunti da pubblicità e musica, cinematografia e moda, politica e letteratura - attraverso il trionfo della meccanica, l’avanzamento della chimica e della fisica, l’avvento dell’elettronica e dell’informatica lungo il Novecento. Un progresso, parallelo a quello del costume e della mentalità, che neppure due guerre mondiali sono riuscite a interrompere e che ci ha fatto approdare all’oggi, dopo settant’anni di pace e un lungo periodo di crescente benessere, alla crisi, alle fragilità sociali, alla stagnazione economica e demografica.



La scrittrice Marta Boneschi


Ma i migliori oggetti, corrispondono ai migliori anni della nostra vita? In quel 1957 che vide l’apertura del primo tratto dell’Autostrada del sole, il nastro d’asfalto che unirà il paese, come nell’Ottocento la rete ferroviaria, portando lavoro e benessere in molte terre d’emigrazione, il padre di famiglia milanese avrebbe risposto un “sì” convinto: «Risparmio un’ora per andare a Forte dei Marmi». E Carlo Emilio Gadda sull’infrastruttura della modernità vede già correre non solo le auto del nuovo benessere, ma il cambiamento delle donne italiane: «coi capelli castani lisci che ricadono loro sulle spalle, sul tailleur grigio, con calmi occhi alla strada, all’autostrada, spingono la loro Millecento o la loro Alfa in una corsa elegante, liberatrice».



L'autostrada del Sole


In fondo, gonne e chiome si sono già accorciate e la biancheria non è più quell’inestricabile armamentario di nodi, bottoni, lacci e fermagli che D’Annunzio celebrava nel “Piacere”: i misteri dell’intimo vengono dissepolti e nel 1956 perfino l’occhiuta tivù pubblica italiana, che scherma le gambe alle ballerine, manda in onda una Maria Luisa Garoppo, ventitreenne tabaccaia di Casale Monferrato e concorrente di “Lascia o raddoppia?”, con un reggiseno che spara e mostra molto di più della guêpière disegnata da Jean-Paul Gaultier per Madonna nel 1990.


Ma non è solo questione di biancheria. Dal frigorifero alla lavatrice, l’era industriale penetra in cucina, libera la donna dalle incombenze pesanti e, man mano che le domestiche si trasformano in operaie e gli elettrodomestici diventano alla portata di tutti, contribuisce alla democrazia sociale.

La plastica? Ormai ha ricoperto il pianeta, ma la sua invenzione fu paragonabile a quella della ruota: dal brutto Pvc dei serramenti, al bel Pvc per i vinili del boom post-bellico della musica, dal cellophane ingombrante degli imballaggi a quello lavorato all’uncinetto con cui Salvatore Ferragamo, il ciabattino delle stelle, realizzò la tomaia delle scarpe, nella povertà operosa della seconda guerra mondiale.

I farmaci hanno fatto il resto: nei primi del Novecento l’aspettativa di vita era di 45 anni, oggi è di 80. Il pensiero della morte non è più così incombente, piuttosto siamo assillati dall’eterna giovinezza. In campo sessuale, poi, il secolo breve abbatte muri: con gli anticoncezionali la pratica del sesso viene separata dalla procreazione, e, con la fecondazione assistita, la procreazione dalla pratica del sesso.


Quella pillola per inibire l’ovulazione, scoperta dal chimico americano Gregory Pincus, ha rivoltato la società civile, la mentalità, la morale. Nel 1968 è in vendita anche in Italia, dopo Usa, Gran Bretagna e Francia. Ma la strada sarà lunga. Nel ’69, il primo ministro canadese Pierre Trudeau commenta: «Non c’è più posto per lo Stato nelle camere da letto di questa nazione». Per il giurista ultracattolico Gabrio Lombardi, invece, la contraccezione «toglie alle donne la miglior difesa della loro virtù», cioè la paura.
Che anni, comunque. Anche non fossero i migliori.

@boria_a

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