giovedì 13 aprile 2017

IL LIBRO

La moda è un mestiere da duri



Questo non è un libro di moda. È la stessa autrice, la giornalista Fabiana Giacomotti, a metterci in guardia. In ventiquattro articoli, che ha firmato su “Il Foglio” dal marzo 2008 al dicembre 2016, mostra tutto quello che in passerella non si vede: stress, isteria, primedonne, colpi bassi, genialità. Lentezza e frenesia, economia e cultura, fuoriclasse sconosciuti e aspiranti influencer. Ma anche un rigore praticato all’estremo e uno spirito di sacrificio difficilmente immaginabili in un mondo ancora liquidato come fatuo, frivolo, effimero. Dove, appunto, miracolosamente convivono gli opposti: anticipazione frenetica del desiderio e sapienze antiche, senso degli affari e intuizione, invenzione e citazione. Business e show.


Fabiana Giacomotti


Otto anni di articoli. Fabiana Giacomotti osserva e registra quella che per i tempi di vestiti e passerelle è un’era geologica e che oggi Rizzoli ha raccolto nel libro “La moda è un mestiere da duri. Gli anni Duemila del lusso italiano visti dietro le quinte” (pagg. 187, euro 18,00). Dal fallimento di Lehman Brothers, il 15 settembre 2008, all’inizio dell’era Trump, con la vittoria alle urne dell’8 novembre 2016. Otto anni in cui la moda ha attraversato il grande freddo della crisi, le concentrazioni dei marchi nei colossi del lusso, la guerra tra blogger e “bellezzare”, ovvero le giornaliste della carta stampata, il successo della moda “modesta”, e non solo per il mercato arabo, il see now-buy now, compra subito (e non sei mesi dopo) quello che ha sfilato in passerella. E singoli eventi simbolici, come l’arrivo di Maria Grazia Chiuri alla direzione di Dior: una donna, italiana, nella snobissima Parigi alla guida della maison simbolo della couture francese. O la scomparsa dell’ultima intellettuale della moda, Manuela Pavesi, l’alter ego di Miuccia Prada, che sgusciava inosservata fra la massa delle “baraccone” (le pervestite, direbbe la Cederna) e si sedeva composta in prima fila.






Giacomotti “racconta” la moda e non sono in molti a farlo. Intrecciandola con economia, società, arte, cinema, costume, letteratura. Così nessun pezzo è solo un evento, ma l’interpretazione personalissima di una società in trasformazione, con contraddizioni che la moda, sempre amante delle iperboli, enfatizza.

E con tante e gustose curiosità. Il primo blogger della storia? Matthäus Schwarz, contabile tedesco del ’500 presso i facoltosi mercanti Fugger, che si fece ritrarre ogni volta in cui sfoggiava un nuovo abito: centotrentasette vignette a pennino e acquerello, eseguite in un arco di oltre quarant’anni, a partire dal 1520. Un costosissimo Instagram rinascimentale, uscito nel 2015 in una curata edizione per Bloomsbury Publishing. «In questo 20 febbraio del 1520 io, Matthäus Schwarz di Augusta, ho appena compiuto ventitrè anni e questo è il mio volto. Mi è sempre piaciuto parlare con persone più anziane di me, anche su argomenti come l’abbigliamento, che cambia continuamente. Talvolta mi hanno mostrato disegni di abiti che hanno indossato quaranta o cinquanta anni fa e che mi hanno molto stupito... farò lo stesso, per capire che cosa sarà dello stile del vestirsi fra cinque, dieci o più anni». Così scriveva il contabile accanto al primo acquerello, che lo ritrae in una ricca camicia bianca e un farsetto di broccato rosso, cinquecento anni prima del blogger filippino BryanBoy e con uno stile che chi è ostaggio degli hashtag non potrà mai imitare.



Il primo blogger della storia, Matthäus Schwarz, contabile: un acquerello lo ritrae nel giugno 1518 vestito da scherma


L’ultimo articolo, del dicembre 2016, sulla “Moda alla prova dei Trump” sembra scritto in queste ore. All’indomani della vittoria di The Donald, la presidente della Federazione degli stilisti americani, Diane von Fürstenberg, generosa sovvenzionatrice di Hillary Clinton, mandò ai colleghi - scioccati dal risultato - una lettera in cui li invitava a essere “comprensivi, generosi, aperti di mente e ad abbracciare la diversità”, dove per “diversità” era da intendersi Trump e la slovena Melania, top model diventata inquilina della Casa Bianca. 



Melania Trump in Ralph Lauren al primo discorso del marito da presidente



Alcuni stilisti sono rimasti fermi nella decisione di snobbare la first lady, altri, tra cui la stessa Fürstenberg, si sono già ammorbiditi, seguendo l’esempio della direttrice di Vogue America, Anna Wintour, grande fan di Hillary, che si è affrettata subito a puntualizzare che la copertina della sua bibbia non sarà - e non potrebbe mai essere - off limits per Miss Trump. «Ma sapete quale credo sia l’unico, vero dramma per la moda americana? Che Melania - ci ricorda Giacomotti - accidenti a lei, è molto più facile da vestire di Hillary e tirarsi indietro vorrà dire darsi la zappa, o per meglio dire l’ago, sui piedi».
Sono passati tre mesi dall’insediamento del marito (dove, eccezionalmente, si presentò in una tuta bianco abbacinante dell’americano Ralph Lauren, peraltro fatta in Italia) e Melania sta lasciando molti designer e connazionali acquisiti a meditare nel loro brodo. E per il ritratto da tramandare alla posterità, alla faccia del protezionismo del consorte, ha preferito Dolce&Gabbana.

@boria_a

Nessun commento:

Posta un commento