martedì 18 dicembre 2018

 IL LIBRO

Ai piedi del Medioevo 
Una camminata nella storia con calzari e babbucce


A saperli interrogare, meglio ancora se a osservarli è l’occhio dello storico o del critico d’arte, i piedi e le calzature raccontano molto dell’epoca che attraversano. Credenze e sofferenze, ricchezza e povertà, riti e simboli, religione e superstizione: a piedi e sui piedi è scritta la Storia e tante piccole storie individuali, reali o immaginarie, ordinarie e straordinarie, note o dimenticate.

“Con i piedi nel Medioevo” di Virtus Zallot (Il Mulino,  pagg. 209, euro 25,00) prima ancora che un saggio curioso e documentatissimo, ricco di immagini, è un viaggio, anzi, una camminata densa di incontri, in un periodo storico affrontato da un inedito punto di vista. Dal basso, dalle umili estremità, prende vita una società con le sue classi e le sue gerarchie, di cui sono testimonianza anche i tantissimi ed elaborati modelli di calzari e babbucce (da fashionisti ante litteram). E non mancano le sorprese.




Virtus Maria Zallot, storica dell'arte e docente all'Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia




Professoressa Zallot, qual è il linguaggio dei piedi nel Medioevo? «Il linguaggio dei piedi era composto di gesti ordinari e funzionali che tuttavia, per l’uomo medievale, assumevano valore di simbolo e di rito. Il lavare i piedi a qualcuno, per esempio, era esercizio di umiltà: la storia e l’arte medievale narrano per questo di re e regine, santi e buoni cristiani, abati e monaci che lavano i piedi a poveri e pellegrini, ripetendo il gesto di Gesù che li aveva lavati ai discepoli durante l’ultima cena. Il ‘volgare’ levarsi una spina dal piede, raffigurato in molte chiese, indicava la volontà di estirpare il peccato. Calzature e rialzi dei piedi comunicavano lo stato sociale ed esistenziale delle figure, indicandone gerarchie e ruoli. Gli eletti in terra e in cielo, per esempio, non poggiavano i piedi sul nudo terreno, ma su pedane o tappeti preziosi. Caratteri e gesti di piede componevano un lessico e una sintassi che spesso non sappiamo più leggere».





I piedi difformi e deformi sono sempre legati a un’idea di cattiveria o di bisogno. Perchè? «Piedi difformi segnalavano, in genere, una difformità anche morale. Avevano piedi bestiali le streghe, i diavoli tentatori travestiti da uomini o le affascinanti donzelle che tentavano di sedurre irreprensibili monaci. I piedi dissimili erano un espediente iconografico o narrativo che allertava l’interlocutore o l’osservatore sulla vera identità di figure mimetizzate in modo subdolo. Diverso è il caso dei piedi deformi, alterati o amputati da malattie e infortuni. Nell’iconografia medievale caratterizzavano i poveri, poiché la malformazione dei piedi rendeva poveri. Ma vi è anche una motivazione strettamente mediatica: è molto più facile raffigurare uno storpio che non un cieco, un muto o un generico malato. Il povero storpio è, inoltre, degno di compassione (e destinatario di beneficienza e di miracoli) in quanto bisognoso per conclamata necessità e non per indolenza».


L’arte medievale è ricca di piedi torturati, recisi, crocifissi. Tanto dolore e mai l’idea del desiderio e della sensualità come oggi. Perché? «Credo che, nella contemporaneità, non manchi altrettanta crudeltà, così come non mancavano nel Medioevo desiderio e sensualità. Ma l’arte medievale è prevalentemente strumento ‘didattico’ cristiano. Di conseguenza raffigura il dolore e le torture subite da piedi illustri o sconosciuti, ma anche gli eccezionali miracoli concessi da santi che spesso guariscono piedi malati o deformi e, talvolta, persino li riattaccano. Vi è dunque tanto dolore ma anche tanta fiducia e speranza».


Il colore rosso, ieri come oggi, ha una forte simbologia... «Le calzature indossate nei dipinti, come quelle utilizzate nella realtà, denotavano rango e ruolo dei personaggi secondo un repertorio di declinazioni più ampio di quello attuale. Il catalogo di scarpe medievali presentava infatti una gamma di fogge, materiali e colori molto più articolata di quella odierna, soprattutto perchè anche i modelli maschili erano tutt’altro che sobri. Le calzature più preziose e delicate erano quelle rosso-viola (tinte con la preziosissima porpora) riservate all’imperatore d’Oriente e assegnate, nell’iconografia medievale, a personaggi di rango quali la Vergine o gli angeli. I calzari purpurei dell’imperatore erano rossi poiché metaforicamente intrisi del sangue dei nemici calpestati: le scarpe rosse assunte oggi a simbolo della protesta contro la violenza sulle donne attingono al medesimo ambito semantico». 


Alcuni significati ci appaiono singolari: per esempio levare le scarpe e non solo per non sporcare… «Il gesto trovava il proprio prototipo nell’episodio biblico di Mosè che, avvicinandosi al roveto ardente, è invitato da Dio a levare i calzari “perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. Il togliere le scarpe indicava pertanto il predisporsi a incontrare il sacro, sia in senso fisico (come ancora, per esempio, quando si entra nelle moschee) che esistenziale. La citazione biblica spiega le molte scarpe levate dell’arte medievale, compresi i famosi zoccoli del signor Arnolfini nel dipinto di Jan Van Eyck. Togliere o perdere una sola scarpa indicava invece un significativo cambio di condizione, come la stessa Cenerentola, personaggio antichissimo, insegna». 


Noi utilizziamo tuttora l’espressione “bacio della pantofola” per esprimere riverenza, un po’ supina... «La prosternazione realizza il massimo scarto possibile, spaziale e simbolico, tra due corpi: la sommità dell’uno, la testa, si abbassa alla terminazione inferiore dell’altro, i piedi, palesando la propria inferiorità e manifestando riverenza. Questa pratica, pur documentata anche in occasioni informali, era regolamentata dal cerimoniale e vale tuttora in alcune circostanze. Persino i re dovevano assoggettarsi a baciare la pantofola del papa, rito abolito da Giovanni XXIII solo nel 1958. La locuzione “baciare la pantofola” è rimasta nel linguaggio comune a indicare un atteggiamento rinunciatario e servile: da “leccapiedi”, dunque, termine ancora più efficace, che rimanda allo stesso ambito semantico».


Chinarsi ma anche calpestare... «Se il chinarsi ai piedi esprimeva sottomissione riconosciuta, il calpestare sanciva sottomissione violentemente imposta. Il gesto, crudele e antichissimo, è rievocato nel linguaggio contemporaneo a indicare, in senso figurato, prepotenza e spregio: si calpestano infatti le libertà, i diritti, le minoranze...».


In questa sua lunga camminata, quale scoperta l’ha colpita di più? «Forse la leggenda della regina di Saba e il tentativo di delegittimarla davanti a Salomone accusandola di avere piede d’asino e gambe pelose. E il repertorio davvero curioso di malanni e miracoli ai piedi, che il Medioevo - e per questo mi piace - descrive sempre con semplicità e senza scadere nel truculento. Infine il vedere autorevoli personaggi o illustri santi presentati, anche in occasioni ufficiali, in ciabatte. Siamo infatti abituati a considerarle calzari domestici e, quando usate in esterno, indice di una certa trascuratezza. Nel Medioevo, però, erano utilizzate anche per uscire, infilate sopra le preziose babbucce di stoffa che non avrebbero potuto affrontare le non impeccabili condizioni delle strade. Così che proprio i più eleganti e ricchi dovevano ricorrervi».

@boria_a

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