sabato 8 dicembre 2018

IL LIBRO

Il love menu per risvegliare i sensi
fa la fortuna dello chef tamil




Carne di pollastro cotta con cipolle, fieno greco, curcuma, da far riposare in un brodo di coriandolo, cumino e tamarindo: è il pathiya kari, un piatto femminile, cucinato per le madri che allattano. In tavola, l’arrendevolezza delle sue carni si sposa al churaa varai, il piatto maschile a base di squalo speziato, con semi di curry e senape saltati in padella per renderne ancor più battagliero il sapore. Maravan, giovane tamil dello Sri Lanka, fuggito dalla guerra nel suo paese, lavora in un ristorante di lusso di Zurigo come lavapiatti, ma nessuno come lui conosce i segreti dell’unione perfetta delle spezie, l’amplesso dei gusti e dei profumi che, scoppiando nel palato del commensale, accende i sensi e rinvigorisce scintille da tempo sopite.

Fin da bambino, al fianco della prozia Nangay, che “riscaldava”, con le sue speciali pietanze e molta discrezione, il letto di coppie con grande differenza d’età, Maravan ha imparato i segreti di una cucina per appagare carne e spirito. Siamo nel 2008, nello Sri Lanka infuria la guerra intestina tra il governo e le Tigri Tamil, ma a Zurigo, nel suo piccolo appartamento da immigrato, il giovane sguattero col sogno di diventare chef, continua instancabilmente a sperimentare nuovi e audaci accostamenti degli afrodisiaci ayurvedici. Basta il profumo delle foglie di curry messe a bollire a ricordargli la lezione dell’amata prozia, che continua a sostenere a distanza con soldi e medicine, e ad acuire la nostalgia della famiglia, anch’essa coinvolta da vicino nel conflitto.


“Il talento del cuoco” dello scrittore di Zurigo Martin Suter (pagg, 370, euro 14,00), riproposto da Sellerio a sei anni dalla prima edizione, è molto più di quello che Maravan manifesta tra i fornelli. Se ne accorge per prima la collega Andrea, che dopo una cena gli cade tra le braccia, nonostante i suoi gusti sessuali non siano etero. Da lì l’idea di mettere in piedi insieme un catering molto speciale, il “Love Food”, per restituire il fuoco della passione a coppie ammosciate dal tran tran.






Nella fredda e frigida Zurigo l’iniziativa ha subito successo. A dispetto della sua discrezione e della sua religiosità, Maravan non ha problemi con un lavoro che stimoli i sensi altrui: «Nel suo paese d’origine si venerava il principio femminile quale forza creatrice del mondo. Le divinità avevano falli, seni e vagine e le loro madri non erano vergini. No, non aveva nessuna difficoltà a rapportarsi col sesso. Era un elemento importante della sua cultura, della sua religione e delle sua medicina. Ma in Svizzera sì, aveva qualche problema. E credeva di sapere perchè. La verità era che sotto sotto, nonostante fosse onnipresente, il sesso era un problema per gli stessi svizzeri».


Il turbamento del giovane tamil ha un’altra origine. È l’entrare nell’intimità di gente che, fino a quel momento, aveva osservato solo a distanza, da “invisibile”, da “clandestino a bordo di una navicella spaziale extraterrestre”. Armeggiare nelle cucine, conoscere le debolezze di estranei, ingoiare la vergogna che i suoi piatti, nati da sapienze antiche, siano preparati per tradimenti o giochi erotici montati come arma di ricatto. Confezionare “love menu” per bisogno di denaro, senza sospettare che davanti ai “falli gelatinizzati” o alle “passerine glassate di zenzero e pepe” (come Andrea ha ribattezzato asparagi e cuori di ceci) si concludano affari che portano i carri armati dismessi dalla Svizzera all’esercito con cui lo Sri Lanka massacra la sua gente. La storia di Maravan si conclude nell’aprile 2009, un mese prima della resa delle Tigri Tamil.


Con levità, Suter utilizza la metafora della cucina - asettica sotto le campane copripiatto del lussuoso ristorante dove Maravan lavora, avvolgente quella della sua tradizione - per dipingere una società che ci è familiare, con chiusure, ipocrisie, affari sporchi coperti dal segreto bancario e lauti guadagni sulla pelle degli ultimi arrivati. La Svizzera, e l’Europa, delle differenze di classe, dell’emarginazione, della facciata immacolata dietro cui proliferano traffici immondi. Il cibo diventa così uno straordinario ponte di condivisione e conoscenza, in grado di sciogliere pregiudizi e barriere, anche quelli che si perpetuano nelle comunità di immigrati, ostacolando l’integrazione in nome di una mal interpretata appartenenza. «Ecco perchè sono diventato cuoco. Sono affascinato da tutto ciò che è trasformazione», spiega Maravan. La sua è cucina di scambi, non solo di sensi, che Suter, con le complicate ricette riportate a fine libro, ci sfida a provare. 

@boria_a

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