mercoledì 7 gennaio 2015

IL LIBRO

Elsa Maxwell e l'arte del party


Che ci fosse il Martini o no, a lei importava poco. Perchè l’arte di festeggiare ce l’aveva innata e ne seppe fare un formidabile grimaldello sociale, con intelligenza, ironia, applicazione e una sana dose di malizia. Brutta, grassoccia, ma dotata di un’inesauribile voglia di vivere e di una lingua aguzza, Elsa Maxwell, ragazzona allegra e inelegante nata nel 1883 a Keokuk, nel profondo Iowa, diventò la regina del “gossip” d’America, temuta penna al curaro, oltre che un’antesignana di tutte le “influencer” dei tempi nostri.
Senza studi, sapeva però suonare il pianoforte, e cominciò la sua straordinaria carriera di arrampicatrice sociale e tessitrice indefessa di relazioni vip proprio dalla tastiera, in un piccolo cinema, poi fu attrice in una compagnia di giro in mezza America, accompagnatrice di una stella del varietà, socia di locali notturni a Parigi, e pr, giornalista, conferenziera, presenzialista. Scrisse anche canzoni, alcune vere e prorie “hit”, tra cui “The british volunteer”, primo motivo di guerra inglese. Tra i suoi più cari amici c’erano Cole Porter, Somerset Maugham, Noël Coward e Marilyn Monroe, ma si muoveva con disinvoltura anche tra i Rotschild e i Wanderbilt. Combinò qualche celebre matrimonio, come quello tra Maria Callas, per cui aveva un debole non solo di “sorellanza” e Ari Onassis, e fece incontrare Rita Hayworth all’Aga Khan.
Di sè diceva: «Come ha fatto Elsie, figlia di un modesto assicuratore, a diventare una pubblica necessità del Gran Mondo? Mi sono guadagnata il mio titolo per mancanza di concorrenti... Qualunque persona dotata di sufficiente energia e immaginazione avrebbe sviluppato il mio medesimo potere sui ricchi». La sua era una ricetta semplice, che si rivelò infallibile: offrire possibilità insperate di evasione in quei mausolei di marmo, dove i suoi interlocutori vivevano circondati da sospetti e nevrosi (per Elsa la versione “reloaded” dei fossati medievali), qualcosa che non la solita avventura sessuale priva di passione o il gioco d’azzardo esagerato ma senza eccitazione. E ai ricchi e famosi piacque tanto, che spesso corsero in aiuto della loro fantasiosa anfitriona, aprendo il portafoglio per sostenerne il dispendioso livello di vita.


Elsa Maxwell con Marilyn Monroe
Dopo l’autobiografia, “Ho sposato il mondo”, di Elsa Maxwell l’editrice Elliot manda in libreria “Party!” (pagg. 266, euro 17,50), manuale deliziosamente fuori moda sull’arte dell’intrattenimento mondano, su come organizzare una festa evitando che gli ospiti vengano colti da rigor mortis dopo la prima mezz’ora, gli ubriachi comincino a diventare molesti e i figli dei padroni di casa siano trascinati al centro della scena per balbettare una poesia o strimpellare qualche nota (Elsa amava i bambini, ma saggiamente riteneva che ai party dovess’ero rimanere in giro il minimo di tempo necessario a sgranocchiare qualche nocciolina. Lo stesso dicasi per le palle di pelo sbavanti, che gli invitati possono trovare meno deliziose di quanto pensino i padroni...).
Del resto, di feste se ne intendeva. Ne organizzò duemila in quarant’anni di carriera. La prima per ospiti di sangue reale le costò sette dollari per una dozzina di invitati, tra cui la principessa Elena Vittoria, nipotina della regina, che si divertì un mondo a mangiare salsicce e uova sode nell’appartamento londinese di Elsa, due stanze ricavate da una stalla, ridendo alle buffonate di un giovane Noël Coward.
La sua prima regola era proprio questa: niente catena di montaggio, niente manuali di bon ton del ricevimento, fate lavorare l’immaginazione, fidatevi quando Elsa vi dice che si possono fare feste sfrenate, infantili e irresistibili senza il becco di un quattrino (e cita ad esempio quella in cui ministri del governo finirono a ridere come matti cercare di soffiare via le piume da un lenzuolo...).
Formidabili quegli anni ruggenti, di cui le memorie della Maxwell ci restituiscono l’atmosfera stordita e svagata, coperta da un velo di cipria fanè. Consigli surreali sulle frasi che la padrona di casa non deve dire se non vuole che i suoi ospiti girino all’istante sui tacchi, ad esempio, un “Lasciate che vi presenti l’uomo che ha ucciso Rasputin”, pronunciata da lady Emerald Cunard, regina della mondanità londinese intorno agli anni ’50, all’indirizzo del granduca Dmitrij Pavlovic, che aveva avuto il suo bel daffare a zittire la voce di essere l’assassino.
Non manca in coda il ricettario delle “celeb”, tra cui un imperdibile “gumbo di pesce alla creola” di Joan Fontaine, i piccioni ripieni di Clark Gable e il consommé di Diana Vreeland, con il succo di spinaci per dargli la nuance verde. E chissà se George e Amal si sono ispirati a quelle che Elsa definisce le “farse degli americani” a Venezia, turisti che peraltro si vanta di aver portato lei stessa in laguna su richiesta dei notabili locali. La sua fu una festa per la principessa Mafalda, figlia del re d’Italia, su una fila di chiatte sontuosamente addobbate sul Canal Grande...
twitter@boria_a

La  copertina di "Party!" edito da Elliot

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