giovedì 29 gennaio 2015

L'INTERVISTA
Stefania Ugomari Di Blas: i miei "7 minuti" con Ottavia Piccolo



Stefania Ugomari Di Blas in "7 minuti" (tutte le foto sono di Ombretta De Martini)
Che diventasse ballerina classica non era scritto nelle stelle. Ma che nella sua vita ci fosse comunque il palcoscenico, sì. Stefania Ugomari Di Blas, trentenne goriziana, è una delle dieci attrici che da venerdì 30 gennaio al 1° febbraio accompagneranno Ottavia Piccolo, al Rossetti di Trieste, in “7 minuti” di Stefano Massini, per la regia di Alessandro Gassmann. L’anno scorso era già stata in cartellone al Politeama, a fianco di Laura Morante e Gigio Alberti, in “The country” di Martin Crimp, per la regia di Roberto Andò.
Tre anni di danza classica, tra gli 11 e i 14, alla Scala di Milano e il sogno di una carriera sulle punte: «Un periodo pesante ma bello. A 14 anni vivevo già per conto mio, in un appartamentino con delle compagne. Quando mi hanno mandato via dalla Scala è stata una batosta. Ma ho detto basta, non ho scelto di andare a Londra, o in Austria e provarci ancora. Ho chiuso».



                                              Stefania Ugomari Di Blas è l'operaia Mirella in "7 minuti"

Liceo linguistico a Gorizia, poi Beni culturali alla Statale di Milano, dove Stefania sente il richiamo del palcoscenico e si iscrive a un corso di teatro. L’assaggio, però, non le basta, e decide di ritornare in regione per frequentare l’accademia “Nico Pepe” di Udine. «A differenza di altre scuole, dove c’è tanta tecnica, si lavora molto su se stessi, senza regole. Anni intensissimi e splendidi».
Il mestiere di attrice lo comincia allo Stabile d’innovazione Out Off di Milano, con Lorenzo Loris, dove, per quattro anni, si misura con Marivaux, Gadda, Ibsen, Goldoni. Poi, due anni di tournée con il testo di Crimp, un successo prodotto dal Teatro stabile dell’Umbria. E oggi, dopo Andò, un altro regista di punta, Alessandro Gassmann, un’attrice iconica come Ottavia Piccolo e un testo dove l’attualità irrompe sulla scena, mettendo undici donne, due impiegate e nove operaie, davanti a una scelta: rinunciare o no a sette minuti di pausa, ai propri diritti, alla dignità del lavoro?


 Il regista Alessandro Gassmann e le attrici in scena
Come ha incontrato Gassmann?
«Ho fatto un provino su parte con lui al “Piccolo” di Milano. Un provino vero, non di quelli in cui non ti guardano neanche. Trenta-quaranta minuti di improvvisazione sui testi che portavamo. Mi sono divertita, Gassmann ci ha messo subito a nostro agio, ci ha spiegato il testo, la scenografia, insomma, ci ha fatto subito entrare nel progetto. È un regista che non ha sbagliato nulla, capisce l’animo degli attori e le loro debolezze. Ha una sensibilità molto profonda ma anche l’energia di un coach da spogliatoio. Ti fa sentire parte di qualcosa di grande. Un pomeriggio, stavo leggendo sul divano, è squillato il telefono: “Pronto, sono Alessandro... Gassmann”. È stato lui a dirmi che mi aveva scelta: uno shock».
Com’è il suo personaggio?
«Sono Mirella, orgogliosamente operaia al reparto tinte, il peggiore. Una donna emotiva, che vive di paure, con difficoltà a esprimersi per un problema di balbuzie. Ma sa ragionare con la sua testa, è una voce fuori dal coro, la prima a esprimere dubbi sul suo voto, a insinuare un dubbio nelle altre, con sofferenza. Mirella dice “voto sì”, ma so che è un “ricatto” dell’azienda, anche se poi va dietro al branco perchè non ha il coraggio di prendere una decisione. Il regista ha concentrato il racconto in una notte, durante la quale le undici donne, nove operaie e due impiegate, discutono e litigano. Alla fine, usciranno dalla fabbrica tutte un po’ diverse, faranno un passaggio di maturità, di consapevolezza».



Ottavia Piccolo, l'operaia Bianca

Perchè si si tratta solo di sette minuti di pausa...
«Infatti. Sembra un nulla, ma moltiplicati per tutte le donne della fabbrica sono seicento ore di lavoro in più. La tematica del tempo è importante: quanto preziosi sono sette minuti per chi ha una pausa di quindici? Bianca, la portavoce, lo spiega: è il primo passo per chiedere altro, la maternità, le ferie... Dopo quei sette minuti sarà tutta una rinuncia».
E le altre?
«C’è un’operaia turca, musulmana, per cui il lavoro è tutto, lo strumento per portare avanti la famiglia. In una scena in cui esce anche un po’ di razzismo, io la investo a parole, le dico che le immigrate si sentono quasi “miracolate” se hanno un lavoro, non pensano ad altro... Un’altra operaia è polacca, un’altra viene dal Mali, probabilmente arrivata coi barconi. È lei che dice alle altre: “voi non avete avuto nulla di cui avere paura e adesso per la prima volta vi trovate questa bestia davanti...”. Ci sono una madre e una figlia... Massimi ha creato uno spaccato del genere femminile, in cui ciascuna può riconoscersi. Non ci sono personaggi positivi o negativi, nessuna ha torto o ragione, tutte hanno le loro fragilità e paure».
Com’è stato lavorare con Ottavia Piccolo?
«Una donna di grande personalità, ma sempre pronta a dare una mano, a farci da guida quando siamo in tournée. Non è scontato. Ottavia Piccolo è una sorta di capocomico ma tra noi si è creata un’amicizia, che è anche la forza dello spettacolo, fatto da tutte, corale. È una grande attrice mai pigra, che non si appoggia a quello che sa già, si mette in gioco».
Ma alla fine la spuntano queste undici donne?
«Massini lascia il dubbio, un voto è decisivo. In realtà ha messo in piedi una macchina potente e coraggiosa per parlare di alcune tematiche importanti, i diritti dei lavori, il lavoro delle donne, lo scontro generazionale. L’impiegata, infatti, dice a Bianca: tu sì che puoi votare contro il taglio dei minuti, stai qua da trent’anni non te la faranno scontare per i prossimi quaranta. Ma per Bianca si tratta di un riscatto personale, è una che da giovane ha fatto tante manifestazioni ma non ha mai vinto una lotta. Quest’ultima non vuole perderla».
Il teatro di Massini è sempre legato all’attualità...
«”7 minuti” è un testo necessario, urgente, che entra nel cuore della gente, lo capiamo dagli applausi finali. E l’abilità dell’autore sta nel reggere l’articolazione di tutte le storie, ma con una scrittura semplice, senza intellettualismi. Parlare di cose attuali è un’esigenza che avverto anch’io, come attrice: prima la molla era la mia emotività, il bisogno di esprimermi, adesso sento l’esigenza di dire qualcosa che avvicini al pubblico. Altrimenti la gente a teatro non viene».
Progetti futuri?
«Con alcune colleghe abbiamo in mente un’idea, un progetto per uscire dall’Italia, magari con i sottotitoli. Mi piacerebbe non essere vincolata alle richieste del mercato, ai provini, ma prendere in mano in prima persona la situazione. E chissà, magari fare anche web series».
@boria_a


Bianca e le altre in lotta per i "7 minuti"

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