sabato 9 maggio 2015

MODA & MODI
 
ITS 2015, quaranta potenti inventori della moda che non c'è...


Adi Lev Dori, anello da naso (Israele)

Il debutto della Finlandia e della Svizzera, che piazzano due giovani designer tra i finalisti fashion. L’orgoglio degli Emirati Arabi, arrivati a un soffio dai migliori con una collezione sporty-chic che non ce l’ha fatta a superare l’ultimo round delle pre-selezioni. Il riscatto del Vecchio Continente, quest’anno rappresentato a Trieste in tutte le latitudini, dalla Lituania all’Ungheria, dal Belgio alla Francia, dall’Irlanda alla Germania, dalla Polonia alla Serbia, dalla Georgia alla Turchia, all’immancabile Gran Bretagna.

Bojana Nikodijevic (Serbia)
 Il riequilibrio, in generale, della rappresentatività, con tigri e dragoni asiatici - Giappone, Cina, Corea del Sud - tenuti a bada dalla rimonta di americani, canadesi, europei, questi ultimi finalmente un po’ in pace con il peso della tradizione e dei grandi nomi del passato, e da una pattuglia di agguerriti israeliani, ispirati nella creazione dei gioielli.

L’Italia sarà presente solo con una sua scuola, la Domus Academy di Milano, dove si è formata la designer serba selezionata nella categoria “accessori”. La giuria lavora come in alcuni talent vocali: “blind view” al posto di blind audition, ovvero esame dei progetti senza nomi di scuole o nazionalità. Originalità, tecnica, doti artistiche di ciascun concorrente fanno la graduatoria.


"Cracked couture" dell'inglese Richard Quinn
Come ogni anno, ITS traccia la sua, personalissima, geografia del talento e disegna una mappa della creatività internazionale, in uno scacchiere del design che a ogni edizione cambia e ridistribuisce i “pesi”, rivoluziona i confini e le traiettorie. Perchè sì, anche la moda ha i suoi pesi, non solo politici ed economici ma in termini di scuole, formazione, giovani risorse che si mettono in luce sulla loro prima passerella e vengono subito intercettate per portare energie, idee, potenzialità nuove, spesso a migliaia di chilometri di distanza.

L’edizione 2015 del concorso triestino di moda, accessori, gioielli e “artworks” ha toccato quest’anno 950 domande di partecipazione da 256 scuole e accademie di fashion design nel mondo.
 I cappelli dell'inglese Leo Carlton

Nei giorni scorsi, le quattro giurie al lavoro nella sede di Eve, l’agenzia che lo organizza da quattordici anni, hanno selezionato i magnifici quaranta giovani finalisti, dieci per ogni categoria, portando così a cinquecento quella che Barbara Franchin, anima della kermesse, chiama la “ITS family”, la famiglia (e soprattutto la rete) di ex finalisti oggi al lavoro negli uffici stile di grandi brand o protagonisti nelle settimane della moda con la loro firma.
 
Uno per tutti: il georgiano Demna Gvasalia, vincitore di “ITS Three” nel 2004, allora ospitata in un magazzino del Portovecchio. Dopo l’apprendistato da Margiela negli anni d’oro, nel 2015 è stato selezionato tra gli otto finalisti del Lvmh Prize, il più ricco premio della moda dedicato a brand emergenti, e ha conquistato la stampa con la sua griffe Vetements, sfilando in un vecchio gay club di Parigi.


Demna tornerà quest’anno a Trieste, nella giuria fashion, accanto a Nicola Formichetti, direttore creativo di Diesel, a Oriole Cullen, curatrice della sezione Contemporary Textile and Fashion del Victoria & Albert Museum di Londra, a Giovanni Pungetti, ceo di Margiela, al designer Diego Dolcini, alla blogger Susie Bubble, e a molti altri tra giornalisti, cacciatori di teste creative, esperti d’arte che andranno a formare le giurie definitive.
 

La geografia dei concorrenti, dunque. «Dall’Argentina allo Zimbabwe, 79 nazioni in gara, di cui, tra i finalisti, ne sono rappresentate 21», sintetizza Barbara Franchin, fresca vincitrice, proprio per la sua creatura ITS, del Premio Barcola 2015, che le verrà consegnato sabato, alle 11, nella sede della Regione in piazza Unità.

«L’Europa quest’anno è molto protagonista - racconta - con il maggior numero di iscrizioni da Germania e Inghilterra.

La donna di Paula Knorr, giovane designer tedesca
Svizzera e Finlandia sono esordienti ma propongono due progetti fortissimi, entrambi da tenere d’occhio. Ci sono sempre i creativi puri della scuola Coconogacco di Tokyo (fondata da due ex ITS) e tre finalisti dalla Central Saint Martins di Londra, in passato un po’ sottotono.
Diciamo che, in genere, dal nostro punto di osservazione, il mondo della moda giovane si è “riequilibrato”.

Qualcosa si sta muovendo anche dall’Africa, fascia Nord e Sudafrica, ma i concorrenti non sono ancora all’altezza di ITS». Piccolo rimpianto: la designer triestina di CollaneVrosi, Lodovica Fusco, ha mancato per un soffio la rosa dei finalisti con una collezione di prototipi in legno, anelli, bracciali e collari, molto apprezzata dai giurati.

Il tema scelto quest’anno a far da filo conduttore e da “contenitore” al concorso è “The future”. Lo vedremo sviluppato l’11 luglio, all’ex Pescheria, nella serata conclusiva di ITS, quando sfileranno le collezioni dei dieci finalisti e della vincitrice 2014, l’inglese Katherine Roberts-Wood. In mostra si potranno vedere gli accessori, i gioielli e gli artworks, quest’ultima categoria aggiuntasi l’anno scorso e sostenuta da Swatch, che richiede ai concorrenti un progetto speciale a forte tasso creativo. Centomila euro il monte premi in palio, offerto dai consueti sponsor Otb (la holding di Renzo Rosso), Ykk, Swarovski, Samsung Galaxy, cui si affiancano le istituzioni territoriali Regione, Comune, Acegas-Aps, Fondazione CrT.
 
Temi e trend di Its 2015? Franchin parla di «una generazione di potenti inventori», che pensa e disegna abiti e complementi d’abbigliamento ancora non entrati nel nostro guardaroba, eppure sa anche ritornare all’arte delle lavorazioni manuali, abbandona la tridimensionalità per sferruzzare, cucire, ricamare, dipingere a mano. Vestiti, scarpe e borse nascono da uno strano connubio tra materiali vecchi e nuovi, legno antico e pvc, vetro, silicone e spugna, trattati insieme come a creare un ponte fra passato e futuro.


 È un vestiario immaginario, fatto di accessori che hanno forme studiate per il luogo dove devono essere collocati (come le borse geometriche da incastrare al tavolo, a spessore variabile, dell’austriaca Isabel Helf), o sperimentano incroci temerari di materiali (ancora borse, in pelle e vetro, assemblate dalla turca Nadide Begüm Yildirim), un armadio fantastico di copricapi semoventi (Leo Carlton, che arriva dall’Inghilterra dei cappellai matti per eccellenza), anelli che si illuminano con elementi elettronici (della bulgara Iskren Lozanov), occhiali-maschera con lenti sollevate da ingranaggi (di Viktorija Agne, lituana).
 
I gioielli si allungano in territori inesplorati del corpo, diventano anelli da naso (Adi Lev Dori, Israele), da bocca, ornamenti da spalla, collane artistiche che perimetrano il corpo, lo definiscono e gli assicurano uno spazio vitale, di decompressione dagli altri (la cinese In Wai Kwok).


Perchè lo spazio e la nostra relazione con quanto e chi ci circonda, è il filo conduttore di tutti i progetti. Prendiamo gli abiti, canovacci su cui scrivere storie di forte individualità. Sono teatrali (l’alta moda dell’inglese Richard Quinn, poetica e decadente), colorati, spesso frutto di lavorazioni e materie sperimentali, inventate. È come se questi vestiti parlassero: maschere e corazze che distinguono e proteggono chi c’è dentro, lo rendono inconfondibile e, per questo, unico ma anche solo.
twitter@boria_a

La giapponese Yuko Koike si ispira a colori e tecniche del kimono

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