martedì 5 gennaio 2016

 IL LIBRO

Quel caffè ha un'arte (e una storia)


 
 
"Barfly" (Nuages Edizioni)



Da Parigi a Napoli, da New York a L’Avana, da Buenos Aires ad Alessandria d’Egitto, a Lisbona, Oslo, Praga, Vienna. Passando per Trieste. In alcuni caffè sparsi ai quattro angoli della terra si è fatta la Storia. Della letteratura, prima di tutto, ma anche dell’arte, della politica, del costume. Tra quei tavoli, alle latitudini più diverse, sono nati movimenti rivoluzionari e rivolgimenti della società, si sono confrontate e scontrate opinioni che hanno cambiato per sempre il nostro stile di vita, il modo di pensare, il gusto. Perchè i “caffè”, dove, lungo i due secoli passati, si ritrovavano abitualmente persone animate da un sentire comune, ma curiose e disponibili al cambiamento, diventavano incubatori di idee, aperti a nuovi apporti e contributi dialettici. Non salotti elitari, con liste rigide di idee e partecipanti, ma spazi inclusivi per quello che oggi chiameremmo un co-working di pensiero.
O, almeno, così accadeva tra Ottocento e Novecento, quando, appunto, in alcuni caffè è passata, si è fermata o formata, la Storia. Come al “Procope” di Parigi, dove, durante la Rivoluzione francese, si riunivano Robespierre, Danton e Marat. O al “Vesuvio” di San Francisco, locale prediletto dagli scrittori della “beat generation”, Lawrence Ferlinghetti, Jack Kerouac, Neal Cassady, Allen Ginsberg, Dylan Thomas, Bob Dylan. O, ancora, al torinese Caffè dei Fratelli Fiorio, inaugurato nel 1780 e frequentato da Cavour, D’Azeglio e Balbo, scelto da Nietzsche per scrivere il suo “Ecce homo”. Infine, al “Café Central” di Vienna, che vide sedersi ai suoi tavoli, nel solo 1913, alcuni protagonisti dell’intero secolo: Hitler, Stalin, Trotzky e Tito. E pure Sigmund Freud, che vi avrà trovato materia per le sue esplorazioni mentali.
È un viaggio ricco di aneddoti e curiosità quello che ci propone “Barfly. Guida illustrata ai Caffè Letterari” (Nuages, pagg. 95, euro 15,00 a cura di Giancarlo Ascari, Cristina Taverna e Arianna Vairo), un itinerario internazionale attraverso alcuni locali speciali, che tocca Trieste. Tra i settantaquattro caffè selezionati nel mondo per essere stati un crocevia di personaggi e movimenti, ci sono infatti la pasticceria Pirona e il Caffè San Marco, che condividevano alcuni clienti come James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba. Lo scrittore irlandese era un habitué nel tempio di delizie per golosi in largo Barriera Vecchia 12, aperto nel 1920, mentre il caffè di via Battisti, che iniziò l’attività nel 1914, diventò luogo di incontro di irredentisti, letterati e studenti. E continua ad accogliere il contemporaneo triestino più famoso nel mondo, Claudio Magris, che lì, sempre allo stesso posto, ha intrapreso alcuni dei suoi intensi viaggi letterari nell’Europa di mezzo.


 
L'Antico Caffè San Marco a Trieste




A ciascun caffè è abbinata l’illustrazione di un artista, al San Marco quello della grafica Giovanna Durì, che, in bianco e nero, tratteggia un Joyce in lettura nell’inconfondibile grande sala dove s’intrattengono i giocatori di scacchi, la pasticceria Pirona ad Angelo Stano, fumettista e disegnatore di Dylan Dog, che mette allo stesso tavolo, all’esterno del locale, un Saba che si accende la pipa, un occhialuto e appuntito Joyce, uno Svevo intento al rito del calicetto.


Saba, Joyce e Svevo visti da Angelo Stano alla Pasticceria Pirona di Trieste

Nel percorso dei caffè italiani, alcuni non esistono più. Resta l’eco delle voci dei protagonisti, il sapore e il profumo delle loro ordinazioni, perchè - come dice Daniela Ostidich nell’introduzione al volumetto - «la formazione di una nuova visione del mondo si nutre non solo di scambio di opinioni e convivialità, ma anche di cocktail, stuzzichini e buoni caffè».
Al Bar Del Grillo, a Milano, per esempio, un mix di trattoria, pensione e balera, quello che sarebbe diventato uno dei più grandi disegnatori del XX secolo, Saul Steinberg, all’epoca studente di architettura al Politecnico, buttava giù le vignette per i settimanali umoristici “Il Bertoldo” e “Il Settebello”, le cui riunioni di redazione, con Cesare Zavattini e Achille Campanile, si tenevano proprio nella stanza di Steinberg, sopra il bar. Poi arrivarono le leggi razziali e lui, ebreo rumeno, lasciò l’Italia per gli Stati Uniti, dove disegnò la sua opera più famosa, copertina di un numero del “New Yorker” nel 1976, “View of the world from 9th Avenue”.
Ha abbassato le serrande anche il milanese bar Oreste, definito negli anni ’70 da Umberto Eco, che ci trascorreva le serate giocando a flipper, “una sorta di osteria galattica alla Star Wars”, popolata da intellettuali, attori, militanti della sinistra extraparlamentare, artisti, disegnatori come Giovanni Gandini, fondatore di Linus, che ci portava Georges Wolinski, il disegnatore morto nella strage di Charlie Hebdo, e gli illustratori e attori Roland Topor e Copi.
Stessa fine per il Caffè Aragno di via del Corso a Roma, fondato da un pasticciere torinese arrivato in città al seguito dei Savoia a fine ’800 e definito da Orio Vergani il “sancta sanctorum della letteratura, dell’arte e del giornalismo”. Qui si incontravano i futuristi, Marinetti in testa, ci passava Oscar Wilde e Bontempelli e Ungaretti si sfidarono a duello. Del “clima” delle sue sale, dà un’idea il poeta Vincenzo Cardarelli, che lo descrive come il posto dove “si entrava sovversivi e se ne usciva conservatori arrabbiati e nazionalisti, dannunziani e colonialisti”.


 
James Joyce al Caffè San Marco di Trieste, visto da Giovanna Durì


Accanto ai celeberrimi “Florian” di Venezia, “Pedrocchi” di Padova e “Gambrinus” di Napoli, al romano "Rosati" di Pasolini, “Barfly” ci apre le porte di locali meno noti, come il Caffè dell’Ussero di Pisa, nato nel 1775, che annoverava tra i clienti Carducci e Malaparte, e, in tempi più recenti, Terzani e Tabucchi, ma anche quel semisconosciuto Filippo Mazzei, medico e filosofo italiano vissuto tra il 1730 e il 1816, intimo amico di cinque presidenti americani, al punto da suggerire l’inserimento della “ricerca della felicità” nella Costituzione Usa.
Oltreoceano, questo andar per caffè letterari si fa ancora più curioso. Se La Bodeguita del Medio di L’Avana, buen retiro di Hemingway, Neruda e Salvador Allende, è meta di pellegrinaggio turistico, meno noto è l’antico “The horse you came in on” di Baltimora, risalente al 1775, dove pare che Edgar Allan Poe abbia fatto la sua ultima apparizione prima di essere trovato delirante in strada e morire di lì a poco per cause misteriose. Sorte ugualmente infausta toccò al poeta Dylan Thomas, frequentatore della “White Horse Tavern” di New York da cui, nel novembre 1953, uscì con in corpo diciotto shots di whiskey per collassare sul marciapiede e morire a stretto giro. Il pub rimase in voga, amato da scrittori come James Baldwin, Anaïs Nin e Norman Mailer.
Il viaggio si spinge fino a “Casa Voloshin” a Koktebel, in Ucraina, dove l’omonimo poeta e pittore, durante la guerra civile, tra il 1918 e il ’21, prestava assistenza sia ai soldati rossi che ai bianchi e, dopo la rivoluzione, ospitava artisti e scrittori come Marina Cvetaeva, Massimo Gorky e Mikhail Bulgakov. Oggi gli avventori possono ammirare acquerelli e memorabilia varie, tra cui “L’Ordine n. 44 del 1920”, con cui, per diretto interessamento di Lenin, si raccomandava ai soldati rivoluzionari di non toccare la dacia.
Esistono ancora caffè così o, per citare Ostidich, sono solo “lapidi di una memoria storica collettiva”? Un disegno brumoso di Franco Matticchio tratteggia Dino Buzzati assorto in una giovane donna, davanti al bar Jamaica di Brera. Ci venne Mussolini da direttore de “Il popolo d’Italia”, nel 1922, e se ne andò senza pagare. Con Buzzati lo frequentarono Piero Manzoni e Lucio Fontana, Quasimodo e Dario Fo.


Buzzati davanti al bar Jamaica a Brera di Franco Matticchio


 Ma è andato tutto a remengo, dice Alberto Arbasino in un’intervista a “Il Fatto Quotidiano” del 15 luglio scorso. «Non ci sono più i caffè letterari con letterati che discorrevano di libri, di idee, di forme, nozioni, concetti». E il Jamaica, ormai, fa l’apericena.
twitter@boria_a

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