domenica 31 gennaio 2016

 L'INTERVISTA

Sara Mengo, anatomia di un cuore innamorato a Trieste




 
Sara Mengo fotografata da Andrea Lasorte per Il Piccolo




“Le lezioni si svolgono all’interno di quello che sembra un ospedale concepito per raggiungere la luna...”. Bastano le prime dieci righe per capire dov’è ambientato il romanzo della giovane veneta Sara Mengo, studentessa di Medicina e ora anche scrittrice debuttante. Ma se la prima citazione non vi mette ancora sulla strada, eccone un’altra: “La sola compagnia di cui goda lassù è data dalle implacabili raffiche di bora triestina”. Non ci sono più dubbi. Siamo atterrati nella torre di Cattinara, tra primari-professori e futuri dottori, tutti fascinosi protagonisti di una chick-lit in salsa medica, dove le frecce di Cupido lavorano con più velocità e precisione dei bisturi.
Autobiografico? Lei, l’autrice, 29 anni di San Donà di Piave, universitaria a Trieste, giura di no, ma un’ombra di dubbio rimane. Il suo romanzo d’esordio, “Anatomia di un cuore innamorato” (Piemme, pagg. 299, euro 18,50), è uscito il 12 gennaio scorso, proprio nel giorno in cui affrontava, e felicemente superava, l’esame di Oftalmologia. Ora, china sui testi di Medicina legale, pensa ad accorciare le distanze tra sè e la laurea, prevista il prossimo anno, piuttosto che a fantasticare sugli allegri anatomopatologi seduttori che si aggirano nelle corsie e tra le pagine del suo romanzo.





Nata sulla scia di una delusione d’amore, questa “Anatomia” sentimentale è stata scritta in un anno, dal settembre 2013 a ottobre 2014, quando l’autrice ha avuto in mano il contratto. Scrittura notturna, compulsiva ed esorcizzante, con cui è riuscita nell'impresa di espugnare subito una casa editrice, sarà per la voglia di leggerezza ed evasione che c’è nell’aria, sarà perchè, complici le serie tivù americane, siamo abituati a palpitare con eroi ed eroine da triage. «Sono personaggi affascinanti, ma altrettanto preparati e capaci. Per questo piacciono», sintetizza Sara. Che presenterà il libro il 12 febbraio nella sua San Donà e poi a Trieste.
È vero che le sue passioni sono sempre state il fonendoscopio e la penna?
«Sì, fin da piccola volevo fare il medico. E non ho mollato, nonostante abbia tentato l’esame di ammissione tre volte. Ma sono stata determinata fino in fondo verso il mio obiettivo. La scrittura è stata un’áncora di salvataggio, uno spazio immaginario dove dare forma ai miei pensieri. Mi piace scrivere, al liceo scientifico l’unico compito che non mi angosciava era quello d’italiano. Questo è in assoluto il mio primo tentativo ed è andata subito bene. Mi sento una privilegiata: è bellissimo entrare in rapporto con le persone attraverso un libro».
Quando ha scoperto le serie tv?
«Ho cominciato con Chicago Hope, dei miei amici nessuno la conosce. Seguivo tutte le puntate e mi è dispiaciuto quando hanno smesso le repliche. Poi, negli stessi anni, E.R., sembra incredibile ma mi sono appassionata così alla medicina. Ora seguo soprattutto Grey’s Anatomy, che è ambientata a Seattle, una città che ha delle affinità con Trieste: sono entrambe culturalmente vive, sono di confine, una a nordest, l’altra a nord ovest... Trieste è anche romantica, la vedo perfetta per una commedia sentimentale come la mia».


 
I protagonisti di Chicago Hope


Meglio il dottor Shepherd o il dottor House?
«Il dottor Shepherd, non c’è alcun dubbio. House l’ho visto tutto, ma non è stata fonte di ispirazione, perchè la serie è più centrata sugli aspetti diagnostici che sulle faccende di cuore. Il protagonista del mio libro, Giorgio Ferranti, assomiglia a Shepherd, anche se ho cercato di non fare copie. Diciamo che è una specie di dottor Stranamore all’italiana, ho preso spunto dall’attore in carne ed ossa e ho cercato di adattarlo all’idea che avevo in testa».
E non dimentichiamoci di Clooney, il mitico dottor Ross...
«Ero una bambina ma già mi affascinava, anche se non ho mai pensato che i medici fossero così nella realtà. In sei anni di università ne ho incontrati moltissimi... I miei docenti sono sicuramente molto bravi, ma non certo così belli».


E.R. con al centro George Clooney, il dottor Doug Ross


Celeste, la protagonista del libro, è lei?
«No, per niente, non mi innamoro ogni dieci minuti in corsia. Mi assomiglia nell’emotività, questo sì».
Com’è nata l’idea del libro?
«Dopo una delusione d’amore».
Storia con un medico?
«No, per niente. Ma avevo bisogno di una valvola di sfogo, qualcosa che mi aiutasse a recuperare il sorriso. Ho buttato giù qualche riga e i personaggi prendevano forma da soli. Così mi sono detta: facciamo una scaletta, pensiamo alla trama. Volevo qualcosa che emozionasse, che permettesse al lettore di identificarsi, riconoscendo in quelli dei personaggi i suoi stessi innamoramenti. E che avesse un lieto fine. Ho fatto una prima, poi una seconda e terza stesura, tutto da sola».
E poi?
«Quando ho ritenuto che la forma fosse presentabile, ho fatto un po’ di ricerche su internet e ho scoperto il mondo delle agenzie letterarie. Una, che si chiama Tzla, con sedi a Vicenza e Verona, mi ha risposto e mi ha offerto un contratto di rappresentanza. Ho rivisto il testo con uno dei titolari, Rossano Trentin, che mi ha consigliato di tagliare alcune parti ripetitive e di aggiungere qualche scena. Poi, un venerdì ha proposto la storia a Piemme. Il lunedì dopo il manoscritto è stato accettato. Ed è arrivato l’anticipo, una grande soddisfazione».
Perchè ha funzionato, secondo lei?
«Ho avuto una buona dose di fortuna, la mia protagonista è piaciuta alla editor. Forse era il libro giusto al momento giusto. Celeste ha una personalità positiva, è una ragazza che cerca di capire qual è la sua strada. È orfana e forse per questo è attirata da un professore molto più grande di lei, ha bisogno di affetto e di conferme».
Ma il suo ex fidanzato c’è nel libro?
«Solo in una piccola parentesi, anche se è probabile che ci si riconosca».
E qualcos’altro di autobiografico?
«L’emotività, ma anche la determinazione della protagonista, che in fondo cerca di studiare nonostante sia innamorata. La migliore amica di Celeste è ispirata alla mia reale, che però non è un medico ma una veterinaria, e si è subito riconosciuta. Per il resto, metto le mani avanti: le professoresse acide non esistono, mentre il dottor Ferranti è il prototipo del mio uomo ideale».
Quando scrive?
«Ora sono divisa tra studio e tirocinio. Il libro l’ho scritto di notte, non dormivo e mi aiutava. Diciamo che devo dire grazie al mio ex, in un certo senso è merito suo. Quando è diventato un vero e proprio progetto editoriale, mi sono ritagliata delle ore per lavorarci.
Ma non ha paura che qualche medico in qualche modo ci si ritrovi e non gradisca?
«Ci ho pensato soltanto quando ho avuto un pubblico reale. Nel libro ci sono due primari e una professoressa: non credo che nessuno possa aversene a male, il mio è un ospedale fittizio. Comunque ho lasciato una copia a entrambi i primari “veri”, quello di cardiologia e quello di anatomopatologia. Sono rimasti sorpresi, ma contenti... E poi, cardiologia non l’ho ancora data... bisogna essere molto preparati».


 
L'ospedale di Cattinara a Trieste


Progetti futuri?
«La laurea e poi la specializzazione, mi piacerebbe la geriatria. Sono cresciuta con la nonna perchè i miei genitori lavoravano, è stato difficile quando è venuta a mancare. Avevo un bel rapporto con la sua dottoressa, in quel momento ne ho apprezzato il lato umano, perchè nella fase terminale anche i parenti del malato hanno bisogno di sostegno».
E altri libri?
«Perchè no, l’esperienza mi è piaciuta e la casa editrice mi ha accolto bene. Penso a un sequel».

twitter@boria_a
vedi anche: http://ariannaboria.blogspot.com/2015/01/libri-laura-schiavini-tutto-sesso-ma.html

Nessun commento:

Posta un commento