domenica 12 giugno 2016

 IL LIBRO

Silvio Perrella e le scorciatoie fulminanti di Saba

Umberto Saba



Saba, berretto pipa bastone. “Uno, ramingo in un’Italia di macerie e di polvere”. Il poeta che avrebbe voluto essere stanziale e che le miserie della Storia costrinsero a scendere e risalire l’Italia, alla ricerca di pace. Che, nel ’48 a Milano, dopo aver saputo il risultato delle elezioni e il trionfo della Dc, vociferava un “porca, porca”, riferendosi all’Italia. Saba che andava subito al sodo, inscindibile dalla sua città, la Trieste dei saliscendi, delle connessioni tra alto e basso.

Diceva che essere nato qui lo aveva messo in una situazione di ritardo rispetto alla cultura italiana. Non rientrava nella “sincronicità” letteraria del suo tempo, non gli si poteva trovare un equivalente straniero sotto il cui blasone accasarlo, a differenza di Montale e Ungaretti paragonati a Eliot o Mallarmè. Il suo saggio per la Voce, “Quel che resta da fare ai poeti”, del 1911, rimase inedito: solo alla sua morte si seppe che ai poeti resta da fare la poesia onesta. Quella che va al cuore delle cose, che cerca l’essenziale. Un auspicio che si estese presto alla sua prosa, come in “Scorciatoie e raccontini”, raccolta di pensieri, aforismi, brevi scritti, edita nel 1946 da Mondadori. Scorciatoie ovvero “sentieri per capre”, diceva Saba, pensando all’orografia di Trieste. Sulla pagina diventano sguardi trasversali, paesaggi delimitati da cornici, scorci. Prosa chiara, diagnosi altrettanto. Se Montale ripete «codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, Saba guarda in faccia il disagio del suo tempo, leggi segni premonitori di quello futuro, della civiltà di oggi. E ci lascia una scorciatoia memorabile, che fulmina l’Italia in poche righe: non abbiamo mai avuto una rivoluzione, perchè siamo l’unico popolo che ha un fratricidio, e non un parricidio, alla base della sua storia.



 


Di Saba grande prosatore ci racconta il critico siciliano Silvio Perrella in “Addii, fischi nel buio, cenni” (Neri Pozza, pagg. 383, euro 18,00), antologia di saggi - il cui titolo si rifà a un verso di Montale - composti nel corso di trent’anni sugli scrittori nati tra le due guerre, a volte nello stesso anno del fascismo. Italo Calvino, Goffredo Parise, Lalla Romano, Anna Maria Ortese, Raffaele La Capria, Cesare Garboli, Franco Fortini, e ancora Sereni, Caproni e Saba, questi ultimi come prosatori. Sono gli “antenati”, quelli che furono giovani nel momento in cui l’Italia diventava repubblica e che, anche indirettamente, contribuirono alla sostanza della Costituzione. Perrella vuole che i loro “addii”, i loro “fischi” e “cenni” continuino a parlarci, perchè in ognuno di loro “scrivere e vivere” non erano fenomeni disgiunti e «perchè la mia generazione - spiega l’autore - ha guardato a loro come a dei punti di riferimento, come al fondale dentro il quale situare i propri gesti letterari e vitali».



Silvia Perrella

 

Delle scorciatoie di Saba, Perrella scrisse nel 2011: «Temi, figure, attitudini, storie sono in gran parte attinti dal serbatoio del Novecento, e oggi che al Novecento abbiamo detto addio potrebbe sembrare che si tratti di un libro caduco. Se fosse così, bisognerebbe spiegare perchè nel vociferare del poeta che dice porca all’Italia sentiamo oggi - proprio oggi - la voce di un fratello maggiore a cui non vorremmo mai e poi mai tagliar la testa».

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