sabato 25 giugno 2016

L'INTERVISTA


Andrea Camilleri, Montalbano e la pax nel piatto


 
Lo scrittore Andrea Camilleri




C’è qualcosa di speciale nell’ultimo giallo di Andrea Camilleri. Prima di tutto per lo scrittore siciliano che, a 91 anni, con “L’altro capo del filo” (Sellerio, pagg. 298, euro 14,00), taglia l’incredibile traguardo dei cento libri, un record battuto solo dal suo amato Simenon. Ma anche per il Friuli Venezia Giulia, che entra subito nella storia, fin dalle prime pagine, e diventa meta di una delle non frequenti trasferte del commissario Montalbano.

Che cosa spinge dalle parti di Udine il riottoso detective siculo, strappandolo a Vigata e ai piatti della fida Adelina? Questa volta, per restare in tema, un concorso di colpa: la richiesta dell’eterna fidanzata e un caso da risolvere, l’oscuro omicidio di una sarta di Vigata, una vedova garbata e discreta, per venire a capo del quale Montalbano dovrà suo malgrado salire su un aereo a Trapani-Birgi e atterrare, con qualche batticuore, al “Savorgnan di Brazzà” di Ronchi dei Legionari.





A levare il “pititto” al commissario, però, è il motivo principale della puntata in Friuli, ovvero il “rinnovo della promessa di matrimonio” di una coppia di amici di Livia che, arrivati al giro di boa delle nozze d’argento, vogliono ritornare in chiesa, con tutto il contorno di fedi, amici, parenti e pure figli al seguito, per ripetere il giuramento di fedeltà.


«Rinnovo? Come per il tagliando della machina? Come la tessera per il circolo», tenta invano di sottrarsi Montalbano, salvo poi scoprire, nelle ultime pagine del romanzo, che nel fantasioso paesino di Bellosguardo, in terra friulana, c’è una trattoria dal nome che dà “sicurizza”, Al Leon d’Oro, dove, prima di districare il giallo, ci si può consolare sbafandosi con granni soddisfazioni cipuddra, burro, patate, crauti. Una koinè di sapori di tutto gradimento, quasi quanto i celebri arancini.


«La prima trasferta di Montalbano in Friuli Venezia Giulia? Ricordate male», corregge sorridendo Andrea Camilleri. «Il commissario è già venuto dalle vostre parti. È andato anche in Trieste, in un racconto, se non sbaglio in vettura letto». Quella volta, però, nella raccolta “Un mese con Montalbano” (1998), fu il commissario a essere vittima di un episodio di microcriminalità. Sceso in stazione ripetendo versi di Virgilio Giotti, stordito dall’aria e dal mare, fu alleggerito del portafoglio, ma se ne fece presto una ragione davanti a tagliolini all’astice, guatti sfilettati e una bottiglia di terrano. E un po' di Trieste è entrata anche ne "Le inchieste del commissario Collura" (2002, Libreria dell'Orso) dove il protagonista Cecè, uomo di terra in crociera per convalescenza, risolve piccoli misteri aiutato dall'assistente triestino Scipio Premuda.


Camilleri, come mai questa volta ha scelto Udine? «E chi lo sa. Forse perché ricordavo il libro “Il Castello di Udine” di Carlo Emilio Gadda».


Montalbano scova un “ristoranti casaligno” dove servono la triestinissima jota e il friulanissimo frico. Lei ha realizzato una pax che non è mai riuscita a nessun amministratore della regione...«Nella fantasia può succedere».


Molto più “filologica” la triestina Angelica Cosulich de “Il sorriso di Angelica”, che è bellissima, come le triestine hanno fama di essere, e con un cognome che più triestino non si può... «Ho lavorato a lungo a Trieste, tanto alla radio per la regia di alcune opere di Fulvio Tomizza e anche per una ripresa televisiva del Teatro Stabile. È una città che amo assai e che ricordo anche da lontano attraverso i versi di Saba».



Lo scrittore Fulvio Tomizza (1935-1999)


Lei ha detto che dalla sua imponente biblioteca qualche volta “scompare” qualche libro e l’ultimo, quasi un segno del destino, è proprio “La coscienza di Zeno” di Svevo. Perchè voleva rileggere il finale? «In realtà si tratta di una storia che risale a una quarantina di anni fa. Ricordo confusamente che mi interessavano le righe sulla fine del mondo perché in un racconto parallelo, che stavo scrivendo, volevo anche io ambientare un mondo deserto di uomini e di cose». 


Al traguardo dei cento libri, ce n’è uno che si rammarica di non avere scritto ancora? «Più di uno, ma so che non ne avrei più il tempo e forse, un pochino, la voglia». 


Ma se Camilleri non avesse incontrato sulla sua strada Montalbano, chi sarebbe stato? «Avrei continuato a scrivere i romanzi che ho scritto e che continuo a scrivere anche con le incursioni di Montalbano. Sarei uno scrittore, magari non di successo, ma con una dignitosa posizione. È riduttivo considerarmi solo uno scrittore di romanzi polizieschi». 


Per Camilleri oggi è più difficile scrivere dettando, o non poter leggere? «Assai più non poter leggere. È sicuramente la cosa che mi manca di più».


Immaginiamo che ci sia qualcuno che legge per lei. Che autore contemporaneo legge Camilleri? E che classici si fa rileggere? «L’ultimo classico che mi sono fatto rileggere è “I promessi sposi”. Di contemporaneo mi faccio leggere ogni tanto alcuni capitoli per tenermi aggiornato sulla produzione. Volti e immagini non ho bisogno di farmeli raccontare, per fortuna sono ancora ben presenti e operanti». 


Lei prima di diventare scrittore ha fatto lo sceneggiatore. Le piace la televisione di oggi? «No. Io appartengo all’epoca dei grandi romanzi sceneggiati, delle grandi commedie che si presentavano ogni venerdì. Era una televisione completamente diversa e ne sono un po’ nostalgico». 


Cos’è la vecchiaia? «Sono state scritte milioni di righe sulla vecchiaia, da De Senectute in poi. La vecchiaia è un’età della vita come tutte le altre, con molte limitazioni ma anche con molte libertà».


E la felicità? «Per me la felicità è scrivere una bella pagina, una pagina che mi soddisfi». 


E che cos’è il successo? Un successo planetario come il suo?
«A me il successo non mi ha spostato di un millimetro, né nel mio modo di pensare e né nel mio modo di vivere. Mi ha portato però una ricchezza incommensurabile, il calore e l’affetto dei lettori».


Qual è il complimento che in assoluto, lungo tutti i suoi cento libri, le ha fatto più piacere e di chi? «Direi quando Sebastiano Vassalli scrisse che non c’era bisogno di costruire un ponte sullo Stretto perché io ne stavo costruendo uno di carta, e che funzionava piuttosto bene».


La fa arrabbiare l’Italia di oggi? «Non mi fa arrabbiare l’Italia, casomai quelli che la governano».


Ne “La concessione del telefono” c’è la fotografia del nostro paese oggi. Concorda? «Tutti i miei romanzi si calano sulle posizioni italiane contemporanee. Altrimenti che li scriverei a fare? Solo per il gusto di raccontare un episodio del passato?».


Nel libro n. 100 Montalbano affronta il problema migranti. Come si sta comportando l’Europa? «L’Europa malissimo, l’Italia meglio. Soprattutto perché gli italiani sanno cos’è la migrazione». 


Il commissario fa segnare numeri da record anche in televisione, alla seconda, terza replica. Ha incollato al video milioni di persone che già conoscono il finale. Perchè piace tanto? «Perché è un prodotto ottimamente realizzato di alto livello televisivo». 


E a lei piace sempre Montalbano? «Certe volte sì e altre meno. Talvolta la sua presenza è troppo ossessiva». 


È vero che è già pronto il romanzo in cui Montalbano muore? «E chi gliel’ha detto che muore? Comunque l’ultimo romanzo della serie l’ho scritto». 


Se le chiedessero di esprimere un desiderio... «Continuare a scrivere, a lavorare, finché mi sarà possibile».

twitter@boria_a

Nessun commento:

Posta un commento