lunedì 20 giugno 2016

 IL PRECEDENTE



 Era il 28 giugno 2001, e il neosindaco di Trieste Roberto Dipiazza entrava in municipio... Allora l'ho raccontato così sulle colonne del Piccolo
(e adesso, in quel palazzo che all'epoca "scopriva", ci entra per la terza volta...)
 

 
28 giugno 2001: Roberto Dipiazza irrompe (per la prima volta) nel palazzo municipale di Trieste (foto di Andrea Lasorte per Il Piccolo)



«Signor sindaco, ha chiamato un cittadino. Protesta, perché non rispondono agli uffici dell'Ici. Anch'io sto provando da un'ora, tutti i numeri. Niente da fare». La signora Loredana, segretaria-ammiraglia e grande vestale delle asprezze illyane, scuote la testa impassibile davanti al nuovo governante di piazza Unità, che entra come un turbine nel sancta sanctorum al primo piano del palazzo municipale di Trieste.

«Non rispondono agli uffici dell'Ici??? Mi chiami subito il direttore generale». Scende il manager Andrea Viero, nel suo inappuntabile grigio bocconiano, mentre le linee degli uffici di via Genova vengono digitate freneticamente. 


«Signor sindaco, dicono che non rispondono perché sono oberati di lavoro». «Cosa??? Viero, provveda subito». «Veramente rispondono sempre entro cinque squilli», s'inserisce diplomatico il dirigente, calato senza giacca dagli uffici del piano di sopra.
«Gli mandi qualcuno da qua. Non è possibile che la gente aspetti a vuoto».

Arriva silenziosamente la giacca di Viero, via Genova è in linea. Un secondo dopo il neosindaco cavalca come un granatiere un corridoio, oggi come non mai dei passi perduti,
lanciato verso nuove avventure.



Andrea Viero


Addio passi felpati, atmosfere ovattate, sorrisetti di circostanza, mani strette con affettazione da chirurgo. E' finita l'era dell'Uomo metallico, del piccolo principe bionico, benvenuti nell'epopea del Grande venditore, dell'ultimo prodotto di Mediaset in terra giuliana. Ieri, il giro inaugurale di Roberto Dipiazza in alcuni uffici del Palazzo dell'anagrafe, si è trasformato in uno spot itinerante delle prime mosse della Casa delle Libertà dall'interno della macchina comunale.


Porte spalancate, pacche sulle spalle, battute a raffica, apprezzamenti alle signore. Alcune accolgono, lusingate dall'approccio affabile, forse facendo finta di non accorgersi dell'occhio da commerciante scafato che disseziona il prodotto, altre respingono con ostentata educazione, già con un nodo di nostalgia per i gelidi e formalissimi sopralluoghi illyani. «Fortunato, bella vista. Eh sì, lei ha un bel colpo d'occhio», apostrofa quanti, maschietti, condividono la stanza con esuberanti colleghe. E si comincia a intuire perché il british Federico Pacorini ha fallito la prova dell'impatto col grande pubblico.

Il giro comincia dagli uffici del Personale. «Marson? Lorenzut? Ma qui sono tutti friulani. Ecco perché ho vinto le elezioni».
Dipiazza ha il passo del montanaro e l'entusiasmo dell'apprendista stregone. Le porte si aprono, una dietro l'altra. Sbucano dirigenti, si alzano tecnici, il gentil sesso comunale si materializza dietro piantine e foto di pargoli. «Eh, dove ci sono le donne c'è sempre una nota gentile», sospira il Nostro, dispensando sorrisi.


«Il segretario generale? Piacere»: eccolo entrare come un condor nell'ufficio del gran commis dell'amministrazione. «Ma io la voglio giù vicino a me, così posso aprire una porta e parlarle». Primo effetto del nuovo corso: l'elegante ufficio che fu del fu assessore alla cultura Damiani, da cui lo sguardo affonda nel golfo, non sarà del suo successore, l'ostico deputato di An Roberto Menia, ma del primo burocrate dell'amministrazione. Il sindaco lo vuole accanto a sè, in ogni momento, per ogni necessità.

Nel tragitto tra un piano e l'altro, qualcuno ferma il neofita, si complimenta per l'exploit elettorale. «E' un buon momento», ridacchia lui. «Ma cosa fa questa gente seduta sulle scale?», interroga un attimo dopo. E, informato che si tratta di un gruppetto di giovani periti, aspiranti dipendenti della sua amministrazione, che attendono, comprensibilmente ansiosi, di passare al torchio della commissione comunale, dispensa auguri volanti.


E' abile, questo sindaco. Sembra un bambinone divertito dal giocattolo, ma qua e là infila staffilate, fa intuire che il suo regno comincerà con una rivoluzione negli uffici. Non a caso terrà per sè la delega al Personale. «Ma lei l'altro giorno aveva i capelli sciolti», apostrofa la ragioniere capo Sferco e in una manciata di secondi le racconta come lui, a Muggia, chiudeva i bilanci con un avanzo di gestione risibile, a differenza degli immobilisti comuni carsici. 
«Nei prossimi mesi, comunque, dica sempre che non ci sono soldi».

Ecco, più in là, il dottor Prestelli, immerso nel suo ufficio a temperatura equatoriale, tra gli scatoloni di un trasloco in atto. Va in pensione sabato, dopo 41 anni di onorato servizio. «Ma che cosa farà dopo?», gli chiede Dipiazza. Viero, che di ognuno snocciola una piccola biografia e che, a tratti, sembra coccolare i suoi sottoposti con l'affetto di chi si accinge ad abbandonarli, fa presente le competenze del dirigente su Urban. «Così va bene, le daremo un incarico», replica il sindaco, già correndo via a conoscere il genovese Manfren («sti' genovesi, son forti però»), il triestino Maolino, arrivato dal sud ma ormai giuliano doc, la segretaria delle concessioni edilizie («ma lei concede, signora?») i collaboratori all'urbanistica della sua «amica Ondina», che gli ha fatto Porto San Rocco. «La Barduzzi ha progettato Porto San Rocco?», stupisce Viero. «Ma no, il mio supermercato. Io lo chiamo col nome del posto», lo corregge il sindaco, come si fa con uno scolaretto volenteroso ma poco pronto.


Man mano, nel giro, si accodano dirigenti. Tosolini, Pocecco («bella villa che guarda il golfo. Porto San Rocco l'ho fatto per lui», se la ride Dipiazza). Gli spiegano che quell'aria da arrembaggio degli ultimi piani del Comune è dovuta agli spostamenti in atto da un piano all'altro. Lui già punta i piedi, dice che piuttosto che quei cubicoli dove non si possono aprire nemmeno le porte, vanno buttate giù le pareti e fatto l'open space. «Ci vogliono molte risorse. E i dipendenti dicono che non lavorano bene», gli viene fatto presente. «Il problema non è che non lavorano bene, è che lavorano. E' diverso», ribatte il sindaco, con una delle staffilate di cui sopra.


Passano gli uffici, uno dopo l'altro: protocolli, manutenzioni, scuole, strade. Stanzette congestionate dove, nei sette anni dietro alle spalle, venne riaggiustata e ridisegnata la Trieste di IllyDipiazza ordina alla Cartografia megamappe della città da mettere in giunta («così almeno quando si parla di qualcosa si sa dov'è»), saluta qualche dipendente approdato qui da Muggia («Baldas? Ve l'ho mandato io, sapevo che eravate in difficoltà. Che bontà d'animo...»), accoglie gli auguri per la carriera di un signore che si presenta come quasi-dirigente. «Beh, la faremo dirigente. Quanto alla carriera, credo di aver già raggiunto il massimo. Eh, eh».


S'indigna per un nuovo buco aperto dall'Acegas in via Milano e a quanti gli spiegano che il protocollo sui lavori esiste già e che ci si sta dando da fare per farlo rispettare, sentenzia: «All'Acegas, bisogna che ghe demo una strenta. Quindici giorni? Ma signori, i buchi vanno chiusi in quindici ore».

Finalmente le ultima tappe, almeno di ieri. Gli uffici del suo «amico Drossi», presidiati dall'efficiente signora Carli. «Come lo vuole il nuovo assessore?», debutta il sindaco. E l'interessata, elegantissima e algida sotto l'abbronzatura da schianto: «Lei lo scelga bene».

Poi il Verde urbano: «Come va col Giardino pubblico?», s'informa il Nostro. In due giorni, gli viene promesso, si muoverà qualcosa. E ancora: «Gli oleandri. Ma perché non li prendete doppi invece che "ugnoli"?». «Quelli "ugnoli" fioriscono più a lungo», s'intromette un sempre più esangue Viero.


L'oleandro "doppio" preferito da Dipiazza


Bye bye, caffè Illy. Su il sipario sul Parmacotto. «Il signor sindaco preferisce i doppi? Terremo conto».

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