mercoledì 29 marzo 2017

LA MOSTRA

Il foulard in vetta com'è chic





Il foulard più famoso della storia dell’alpinismo è a piccoli disegni bordeaux, bianco e blu, con la sigla G.L.M. ricamata a mano su un angolo. Le cifre stanno per George Leigh Mallory e quel quadrato di seta avvolge le lettere che a lui inviava la moglie Ruth, indirizzandole presso “British Trage agent, Yalung, Tibet”. Era il primo maggio 1999, a 8290 metri di altitudine, sotto il Grand Couloir sul versante nord dell’Everest, quando le missive uscirono dal fazzoletto ripiegato con precisione. Un ritrovamento importantissimo, che diede a Conrad Anker e agli altri componenti della spedizione guidata da Eric Simonson - nove americani, due britannici e un tedesco - la certezza che quello era il corpo di Mallory, l’alpinista inglese che l’8 giugno 1924, insieme al compagno Andrew Irvine, aveva tentato, e fallito, la conquista del tetto del mondo. Un fazzoletto che custodiva, a cent’anni quasi di distanza, legami, affetti e intimità, un ritaglio di stoffa epico e insieme domestico, diventato segnale e simbolo.

Di quel foulard narra lo stesso Anker in “The lost explorer. Finding Mallory on Mount Everest”. E la stessa scena è descritta, con meno documenti ma molta più partecipazione emotiva, dalla canadese Tanis Rideout nella biografia di Mallory “Above all things”, che in italiano è diventata “Ti scriverò dai confini del cielo” (edita da Piemme nel 2014): “Sul sacco a pelo dispose quel che avrebbe preso. Sarebbe stata la summa del suo viaggio. Una scatoletta di fiammiferi con il cigno, una di pezzi di carne secca, le forbicine per le unghie nella custodia di pelle, una spilla da balia... Un tubetto di gel di petrolio. Le lettere ricevute da casa, avvolte in un fazzoletto rosso e blu. Passò il pollice sulle iniziali ricamate da Ruth, ma era congelato e non ne sentì il rilievo».


I foulard più celebri arrivati in vetta sono raccontati dal giornalista Maurizio Bono, caporedattore di “D”, il femminile di Repubblica, nel saggio introduttivo del prezioso volume “Foulard delle montagne” (Priuli & Verlucca, pagg. 156, 170 immagini, euro 29,50), edito a corredo della mostra visitabile al Museo nazionale della Montagna di Torino fino al 28 maggio 2017 (www.museomontagna. org). L’allestimento propone settanta foulard, selezionati dai curatori Aldo Audisio, Laura Gallo e Cristina Natta-Soleri, dalla raccolta di oltre 170 a tema montano che costituiscono la collezione del Museo, alcuni, in seta, firmati da griffe come Chanel, Hermès, Prada, Givenchy, Gucci, Céline, Krizia, Burberrys, Ralph Lauren, altri più semplici, souvenir in cotone, lana, materiali sintetici, altri ancora commemorativi dei Giochi Olimpici.





Da comune pezzo di stoffa, diffuso in tutte le culture del mondo e nato per scopi pratici, di decoro e protezione, ad accessorio icona, elemento distintivo, must have del XX secolo. Dalle stalle alle stelle, dal mondo contadino a Hollywood: l’ascesa del fazzoletto nell’immaginario femminile del Novecento è legata soprattutto a film e attrici, come annotano nei loro saggi in catalogo Sofia Gnoli e Silvia Vacirica.


“Il foulard sta alla donna come la cravatta sta all’uomo e il modo in cui si annoda esprime la vostra personalità” ammoniva monsieur Christian Dior. Elsie de Wolfe, attrice, arredatrice, oggi diremmo “influencer” americana, lo portava legato a un lato del mento. La regina Elisabetta, che lo sostituisce ai cappellini nelle occasioni meno formali o quando va in vacanza nelle brume delle sue tenute, lo annoda al centro, proprio come Jackie Kennedy, che lo preferiva di gran lunga ai cappelli. Christine Lagarde ama variare: appoggiato sulle spalle, arrotolato intorno al collo, fermato con un nodo lento o più serrato, buttato da un lato a mo’ di scialle.


 
Christine Lagarde, foulard creativo


 

La liaison tra cinema e foulard è lunga, da Gloria Swanson a Sarah Jessica Parker, ma è negli anni ’50, con Audrey Hepburn e Grace Kelly, che il fazzoletto diventa feticcio. Audrey, principessa sbarazzina in “Vacanze romane”, se lo ritrova annodato al collo troppo magro, per volere della costumista Edith Head, mentre sull’iconico little black dress di “Colazione da Tiffany”, il foulard è avvitato al cappello a falde larghe. Fuori dal set l’attrice lo porta alla “babushka”, legato sotto il mento secondo la tradizione contadina: nel giorno delle sue seconde nozze ne fa un’acconciatura da sposa.


Audrey Hepburn il giorno delle seconde nozze con il fazzoletto alla "babuska"


Audrey e il suo irrinunciabile foulard
Intorno al cappello a falda larga in "Colazione da Tiffany"

Grace Kelly, che ha "brandizzato" col suo nome borse e fogge, non poteva che sfoggiarlo “alla Kelly”: avvolto sulla testa, incrociato sotto il mento e legato dietro. Nel 1966 la maison Gucci omaggia la principessa di Monaco in visita a Milano col foulard “Flora”, disegnato dall’illustratore Vittorio Accornero. Oggi ne esistono settanta versioni a tema floreale e vegetale, di cui cinque della serie firmata da Accornero sono incluse nella collezione del Museo della Montagna: “Funghi” (’67), “Slitta” (71), “Agrifoglio” (’73) e “Fiori delle Alpi” (’80).


Imprese alpinistiche e moda, cinema e cronaca, sport e storia. I “Foulard delle montagne”, in mostra e catalogo, sono un viaggio curioso e ricco di rimandi. E per tornare al fazzoletto in vetta da cui tutto è partito, non si può dimenticare Mary Varale, che diventa famosa nel 1933 per la prima ascensione allo Spigolo Giallo della Piccola di Lavaredo, insieme a Emilio Comici e Renato Zanutti. Una foto storica la ritrae con Riccardo Cassin, due anni prima, sulle Tre Cime di Lavaredo: entrambi in pantaloni alla zuava e canottiera, lei con la mano sulla spalla di lui e un ciuffo di capelli che sfugge al foulard legato come a bandana.



Mary Varale con Riccardo Cassin


Tra il 1924 e il 1935 Mary realizza 217 ascensioni, in cordata e in solitaria. Ma quando il Coni, su proposta del Cai, le nega la medaglia al valore atletico per la salita alla via diretta alla parete sud ovest del Cimon della Pala, e non la assegna neanche ai suoi compagni, “colpevoli” di aver arrampicato legati a una donna, il 20 luglio 1935 si dimette dalla sezione di Belluno, con una lettera furibonda: «In questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare...». Per le donne e contro la “fascistizzazione” dell’alpinismo voluta da Mussolini, la bandana di Mary è diventata una bandiera.

@boria_a

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