giovedì 2 marzo 2017

LA MOSTRA

Lana per soldati, seta per signore


 



Durante gli anni della prima guerra mondiale un’unica rivista femminile continuò le pubblicazioni, a dispetto della scarsità di carta. Si chiamava “Margherita”, in onore della regina, era stata fondata negli anni Settanta dell’Ottocento dai fratelli Tedeschi Tréves ed era diretta dalla moglie di uno dei due, Virginia. Di che cosa parlava? All’inizio pacifista, con l’entrata in guerra dell’Italia cominciò ad affrontare i temi bellici attraverso la lente d’ingrandimento femminile e a dare conto delle trasformazioni nell’abbigliamento della donna. Le gonne, per esempio. Più corte, ma anche pensate per camminare e muoversi in libertà, per lavorare e svolgere nuovi e molteplici impegni quotidiani, in casa e fuori: quindi nè troppo lunghe nè troppo strette. In un tessuto come il jersey, il più adatto ad accompagnare (e vestire) un ruolo sociale completamente cambiato.

Oggi all’accorciarsi o allungarsi di un orlo, magari più volte nella stessa stagione, non dedichiamo che un’occhiata incuriosita. Nel 1914 la sforbiciata alla gonna segnò una rivoluzione, un punto di non ritorno nel guardaroba femminile, almeno quanto la scomparsa del raffinato, complicato e non più gestibile armamentario della lingerie.
La guerra infuriava, i soldati partivano a migliaia per il fronte, ma all’eleganza si prestava comunque attenzione. E, per un crudele paradosso, mentre la lana serviva alle divise delle truppe, le signore vestivano di seta. Spesso in nero, schiacciate dai molti lutti nelle famiglie. Ma anche con tocchi di colore. Dalle industrie francesi uscivano rigature nelle tinte delle bandiere, da utilizzare per nastri, coccarde, cimase, in segno di patriottismo o come abbellimento per i cappelli e i colli delle camicie.


C’è una moda “nella” Grande guerra che deve ancora essere studiata e approfondita. Giovedì 2 marzo 2016, alle 18, ai Musei provinciali di Borgo Castello a Gorizia, nell’ambito della mostra dedicata all’«Alba della donna moderna», sarà l’occasione per farlo con due esperte, che parleranno di tessuti e riviste: Enrica Morini, storica della moda e docente di Moda contemporanea all’Università Iulm di Milano, e Margherita Rosina, studiosa del tessile antico e contemporaneo, negli ultimi dieci anni direttrice del Museo del Tessuto della Fondazione Ratti. Le introdurrà Raffaella Sgubin, direttrice dei Musei goriziani, che ha ideato la mostra visitabile fino all’8 marzo.


«Nei primi del ’900 - spiega Enrica Morini - esistevano molte riviste femministe, che si rivolgevano però a una nicchia di lettrici, con interessi letterari o politici. La rivista “Margherita” è una via di mezzo: parla alle signore dell’alta borghesia, propone racconti, ricamo, musica, artigianato da fare in casa e, in gran parte, la moda. C’era una rubrica fissa, “Vita femminile” che riportava, interpretandole, notizie sul femminismo con articoli scritti dalla redazione o ripresi da altri giornali, ma sempre con una posizione moderata, senza toni accesi, per non disturbare il suo pubblico».
Con l’inizio del conflitto, le case parigine di moda chiudono, pensando che la guerra sia breve. Tra l’agosto-settembre 1914 e il febbraio-marzo 1915 l’Italia, le sue modiste e i suoi tessutai, si trovano così, di punto in bianco, privi dell’impulso creativo francese e delle indicazioni sulle tendenze dettate dalle maison d’oltralpe. Per la moda dell’autunno, Parigi e i suoi atelier non si sono espressi. Un bel guaio per le sartorie italiane.


Dopo un momento di disorientamento, la filiera si mette a lavorare febbrilmente per creare collezioni proprie, ma il risultato, sia per mancanza di esperienza che di professionalità specifiche, sarà modesto. La prova successiva avrebbe potuto essere migliore, ma in quel momento Parigi riapre le sue maison perchè il paese, sottoposto allo sforzo bellico, ha bisogno di soldi. «La differenza, però, è importante», spiega Morini. «L’Italia era alleata della Francia e quest’ultima, quindi, più disponibile a fornire materiale. La rivista “Margherita”, nel frattempo, aveva cambiato editore. Virginia Tréves era morta e la nuova direttrice, Amelia Brizzi Ramazzotti, smette di dare importanza alla guerra, cambia la veste editoriale e propone più immagini e più modelli originali forniti da Parigi. “Margherita” diventa internazionale grazie anche ai legami della direttrice e dell’editore con Vogue America, cosa mai successa prima, e con le riviste francesi».


Le industrie, intanto, continuano a produrre sete. «Da noi soprattutto in tinte unite e disegni minuti - racconta Rosina - in Francia sete rigate con i colori delle bandiere, nastri patriottici, per esempio col gallo, destinati a impieghi militari. Pensiamo che in una prima fase del conflitto, in Inghilterra, bastava un nastro sopra la veste civile per indicare l’appartenenza militare. Interessanti sono anche i campionari. Nel Comasco si trovano sete nere con cimase rigate, forse per i bordi dei polsini nelle divise delle ausiliarie. Nelle cartelle colori della Chambre Syndicale di Lione, nel 1916, molte tinte sono identificate attraverso nomi legati alla guerra, per esempio “shrapnel”, un tipo di proiettile, con un effetto piuttosto macabro».


Margherita” chiude nel 1921. Dopo il conflitto le pubblicazioni femminili cambiano radicalmente. Anche la moda volta pagina. Ma non è il busto il “rottamato” più illustre: la Rivoluzione francese l’aveva già messo in discussione (anche se poi sarà recuperato), i movimenti femministi e salutisti inglesi addirittura bandito. La lunghezza della gonna, invece, era un muro inespugnabile. E quando, a guerra finita, ci si accorse che molti centimetri erano caduti e le caviglie delle donne si vedevano, era ormai tutta un’altra storia.

Nessun commento:

Posta un commento