martedì 9 dicembre 2014

IL PERSONAGGIO

Roberto Citran: Il nostro amore fatto solo di @

Roberto Citran in "Le ho mai raccontato del Vento del Nord"
Una “e” di troppo digitata sulla tastiera del computer e la mail con cui Emmi vuol disdire una rivista finisce all’indirizzo mail di Leo. Lei è “felicemente sposata” e mamma dei due figli che il marito ha avuto da un precedente matrimonio, lui è uno psicolinguista appena uscito da una relazione tormentata. Uno scambio di battute “virtuali” sull’errore di indirizzo e tra i due inizia un rapporto epistolare nell’era di Internet, che a poco a poco si fa gioco, complicità, confidenza, sentimento e forse qualcosa di più dirompente. Senza che Leo ed Emmi si incontrino mai.
Il libro dell’austriaco Daniel Glattauer, uscito nel 2006 (da noi per Feltrinelli) è tutto qui. Una storia d’amore, forse solo una storia tra due persone al tempo della rete, quando dietro un “invia” o un “cancella”, schiacciando un tasto, scegliamo di condividere con perfetti sconosciuti bisogni e solitudini, o di escluderli per sempre dalla nostra vita, rimanendo nell’anonimato di un monitor.
"Le ho mai raccontato del vento del Nord" è diventato un best seller, tradotto in 37 paesi, e una piéce teatrale di grande successo. Perchè la domanda che pone è semplice, ma inquieta: l’amore in rete è vero, può esistere, o è finto come tanti amici virtuali?

Ne parliamo con il protagonista, Roberto Citran, in scena accanto a Chiara Caselli, Emmi.

Come vi siete avvicinati a questa storia che nasce e cresce solo via mail?
«Tutto inizia come un gioco, come accade nei rapporti normali tra un uomo e una donna. Spesso il motivo scatenante è l’ironia, il riconoscere in un’altra persona il nostro stesso modo di ridere, di scherzare. Anche tra Leo ed Emmi il contatto avviene attraverso un equivoco e da lì inizia lo scambio ironico su questo incontro particolare. Poi cominciano a conoscersi, a capire che tra loro ci sono affinità, convergenze di opinioni, di pensieri, di punti di vista. L’aspetto interessante, su cui abbiamo concordato con il regista Valerio, è che il testo esige una recitazione scandita, ma senza enfasi. In una mail è raro rispondere di getto, quindi la scommessa è stata rendere “parlato” un dialogo epistolare, che induce una riflessione in chi scrive. Le parole prendono peso, sono “scandite” perchè il pubblico deve immaginarsele come una mail. E comunque ci saranno anche dialoghi scritti su uno schermo, per richiamare sempre il senso della corrispondenza».
Secondo lei è possibile innamorarsi attraverso le e-mail?
«Io ho bisogno di una persona di fronte. Però è vero che a volte quando parli con qualcuno al telefono senti un calore, un timbro nella voce, e ti immagini com’è l’interlocutore. Può accadere lo stesso con una mail: riconosci uno stile, un modo di pensare che ti avvicina all’altro. “Ah guarda - dici - è come me...”. E l’intesa magari scatta. Poi però credo ci debba essere una curiosità di incontro “fisico” oltre che “virtuale”, altrimenti è malata...».
Il suo personaggio, Leo, come lo vede fisicamente e caratterialmente?
«L’autore del libro è austriaco e io mi immagino proprio un’ambientazione a Vienna, con i suoi parchi, i suoi caffè, dove gente elegante legge, mangia cioccolata, lavora al computer. Vienna è davvero una capitale europea, le nostre città sono meno aperte al mondo esterno. Leo è il personaggio di un film di Wim Wenders, un cinquantenne colto, ben vestito, elegante, non per dandismo fine a se stesso, ma per il desiderio di affascinare attraverso il modo di porsi. Non è un piacione, ha il gusto del bello e ama il confronto con le persone, cercando di conquistarle con il suo tratto interiore, non con ipocrisia e falsità».


Ed Emmi?
Chiara Caselli in una scena della piéce

«Emmi ha “adottato” un’altra famiglia, ha sposato un uomo che ha due figli, e vive una sorta di doppia vita, quella in casa e quella della donna che vorrebbe essere. Leo è più autonomo, Emmi ha una sua fragilità e sente il bisogno di esprimere qualcosa di sè che passa attraverso di lui».
Il web, in questa storia d’amore, difende o mette a rischio?
«Emmi e Leo non si fanno influenzare dal mondo esterno, si scrivono di notte, vivono in modo intimo la loro relazione, il web è quasi un rifugio dove non vengono intaccati. Si sono creati un universo rassicurante che potrebbe essere messo in discussione dall’incontro. Per questo viene sempre rimandato, perchè c’è il rischio di rompere il meccanismo, di infrangere l’incantesimo. Forse Glattauer vuol dirci questo: l’amore perfetto, senza difetti, non esiste».
Però ci dice anche che l’anonimato ci aiuta a svelarci.
«È una contraddizione: sei coperto dietro un monitor e ti scopri con persone che non conosci, ti metti senza veli».
Poi finisce che nelle storie virtuali si riproducono le stesse dinamiche di quelle reali: le schermaglie, le gelosie, il ricatto psicologico...
«Sì, ma alleggerite, perchè cerchi di sdrammatizzare e di non dare troppo peso alle cose dette o non dette. Si riproducono perchè i due entrano in uno stato confidenziale e quindi si creano aspettative. Leo ed Emmi sono gelosi come un uomo e una donna che si conoscono. È curioso, ma hanno vere e proprie crisi».
Quando però nel rapporto epistolare si inserisce il marito di Emmi, scopriamo un Leo diverso, duro, che non ci aspettavamo. Lei cosa ne pensa?
«Il marito in pratica gli dice: passi una notte con mia moglie così la finiamo. Fino a quel momento Leo ha vissuto se stesso e tutta la storia in mail come un qualcosa di pulito, mentre quest’affermazione la considera una caduta di stile, non solo una mortificazione ma proprio un’uscita volgare che lo allontana anche da lei. Forse capisce che in Emmi c’è qualcosa che poi non gli è così affine e che nella realtà niente sarebbe possibile. La curiosità è rimasta, infatti c’è il desiderio di un’”ultima volta”, dell’incontro, ma è da lì che comincia l’allontanamento. Sarà poi vero che Leo deve partire per Boston? Io credo di no, ma l’importante è che ha deciso di troncare».
Lei pensa di potersi innamorare in mail?
«Lo evito accuratamente».
La rete ci ha resi più soli?
«Personalmente ho un rapporto difficile con i social, un giorno sì e un giorno no voglio togliermi da Facebook, che è una specie di bar dove ogni sparata diventa reale, dove dietro al computer si possono menare mazzate a tutti. Lo trovo animalesco. Appena poi mi ritrovo in un gruppo, cerco di uscirne il prima possibile. È bello pensare che molta gente possa seguire il tuo lavoro, ma i vincoli sono troppi. Ormai non si chiacchiera più. Sento una grande tristezza quando nei luoghi di attesa vedi tutti attaccati al telefonino, su twitter, su facebook, alle mail, con un bisogno nevrotico di essere in contatto col mondo, nell’illusione di riempire un vuoto che non si riempie mai».
Glattauer ha scritto un seguito alla storia. Lei lo avrebbe fatto?
«Nel mio mestiere la regola è lasciare sempre la voglia di vedere qualcos’altro. Quando fai il comico, lo spettatore deve desiderare altri tre, quattro minuti. Ma tu devi frenare prima. È la “sospensione” che ti fa affezionare ai personaggi e se viene meno si perde il gioco».
twitter@boria_a


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