lunedì 20 luglio 2015

IL PERSONAGGIO

Elio Fiorucci a Mittelmoda a Gorizia
Un giurato che fiutava sempre il nuovo



Elio Fiorucci giurato al fashion contest Mittelmoda a Gorizia


A Gorizia era di casa da anni, ospite fisso nelle giornate del concorso per designer emergenti Mittelmoda. Elio Fiorucci era stato invitato per la prima volta dalla Fiera nel 1995 a presiedere la giuria, in quell’anno composta anche dall’attrice Clarissa Burt e da Miss Cina. Era arrivato a Gorizia con la sua assistente, Francesca Beta, che cinque anni dopo diventerà nota al grande pubblico per essere entrata nel cast del primo Grande Fratello.
Per dieci anni, fino al 2010, Fiorucci non aveva mai trascurato di seguire Mittelmoda, primo concorso di moda nato in regione. Era entusiasta di conoscere il lavoro dei nuovi talenti, le loro fonti di ispirazione, le loro tecniche, aveva un fiuto inarrivabile nel capire chi, tra loro, sapeva guardare avanti, intercettando i gusti, gli orizzonti, la voglia di futuro dei suoi coetanei. Nel 2007 e 2008 aveva assegnato un premio speciale nell’ambito di Mittelmoda, chiamato Love Therapy, dal suo ultimo progetto, simboleggiato dai due nanetti rossi, che lanciava uno stile più intimista e semplice, imbevuto di messaggi positivi. Nel 2010, a Milano, non aveva voluto mancare alla presentazione nazionale della kermesse goriziana, durante la Fashion Week, accanto al presidente del concorso Matteo Marzotto, a Mario Boselli, allora presidente della Camera nazionale della moda e a Maurizio Tripani, segretario del Mittelmoda international Lab. «Gorizia ha coraggio - era stato il suo commento, dopo la passerella in piazza Vittoria nel 2009 - poiché qui non sfilano le collezioni commerciali: qui sfila il nuovo».
Il nuovo faceva parte del dna di Fiorucci. L’aveva sempre cercato, annusato, anticipato. Dissacrante, antitradizionalista e geniale, non solo con il suo stile, ma anche con i suoi colori e la sua comunicazione, ha influenzato la moda degli anni Ottanta come pochi altri.
Nato a Milano il 10 giugno 1935, a soli 17 anni comincia a seguire l’attività del padre, che possedeva un negozio di pantofole nel centro di Milano. Dopo essersi messo in proprio nel 1962, nel 1967 apre il suo negozio più famoso, in Galleria Passarella a Milano, praticamente a San Babila, nel cuore borghese della città. La sera dell’inaugurazione arriva anche Celentano, su una Cadillac rosa, con il suo clan. È il primo concept store italiano, assimmetrico e su più livelli, affacciato sul mondo e profumato di patchouli, per chi ama vestire informale e originale, e conoscere in anteprima le novità di Londra e New York. Un negozio - dice Fiorucci - dove i giovani possono entrare per curiosare e incontrarsi, senza sentirsi obbligati a comprare.
Nel 1970 Fiorucci diventa brand di produzione industriale, con i due angioletti vittoriani reinterpretati dall’architetto Italo Lupi, ancora oggi un’immagine inconfondibile degli anni Settanta, della voglia di libertà e di amicizia, della rottura degli schemi. Nel ’74 apre un mega-store in via Torino, tra colori flou, t-shirt stampate, accessori di plastica e le hit importate da Inghilterra e Usa. Le campagne pubblicitarie firmate da Oliviero Toscani sono un messaggio diretto, coinvolgente, mai volgare: è nato il “fioruccismo”.
Accostamenti di colori shock, un tocco di pop art importata dall’America, materiali e accessori inusuali e ironici come il lattice e le celebri manette di peluche rosa: il visionario Fiorucci, ’inventore’ dei jeans che fasciano il sedere alle ragazze (un milione 200 mila pezzi venduti in Europa), non smette mai di stupire. La sua fama varca i confini nazionali e, nel 1976, inaugura il Fiorucci Store a New York, disegnato da Ettore Sottsass. Colori forti, ambiente giovane, gusto italiano e profumo di caffè: Andy Warhol se ne innamora. L’anno seguente è Fiorucci a organizzare la serata opening della celebre discoteca Studio 54 (c’era pure una giovanissima Madonna), che diventerà crocevia di artisti e personalità della scena americana, Warhol ma anche Bianca Jagger, Grace Jones, Paloma Picasso. Poi sbarca a Beverly Hills a Los Angeles e il suo nome e la sua filosofia si consolidano su entrambe le coste americane.
Nel 1999 il negozio-museo in Galleria Passarella, nel frattempo decorato con i graffiti dell’amico Keith Haring, poi messi in vendita, viene acquistato dalla società giapponese Edwin International, e nel 2003 è ceduto alla catena low cost svedese H&M. È in quello stesso anno che nasce la linea ’Love Therapy’. «Ho sempre pensato che qualunque attività commerciale o imprenditoriale, anche la più concreta, debba sempre avere al centro dei valori spirituali profondi che i consumatori sono in grado di percepire a pelle. Questa base spirituale concorre a rendere etico il business», aveva sintetizzato.
Animalista convinto, era diventato vegetariano in tarda età («Io non mangio i miei fratelli»). Lo scorso anno, in una lettera indirizzata al ministro Boschi, chiedeva di introdurre nella Costituzione il principio del rispetto per gli animali. «Cerchiamo di tradurre in un codice deontologico le regole di una convivenza armoniosa, di una condivisione equa, mettendo nero su bianco i nostri doveri verso animali, natura, ambiente, verso il prossimo. Riscopriremmo così il valore della parola empatia». L’hippie della moda non aveva mai dimenticato l’etica: forse questa è stata la chiave del suo successo.

@boria_a

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