giovedì 9 luglio 2015

L'INTERVISTA


Evan Handler a Trieste, un protagonista di Sex&TheCity a caccia di ricette


Al Caffe' San Marco con Evan Handler 



Chi ha amato “Sex & The City” non può dimenticarlo: Harry Goldenblatt, secondo marito di Charlotte, il calvo, irsuto, simpaticamente volgare avvocato ebreo che si siede nudo sugli immacolati divani dell’appartamento di Park Avenue, ma alla fine, dopo rotture, divagazioni, ritorni e una conversione religiosa (di lei), espugna il cuore della reginetta wasp. Harry Goldenblatt, al secolo Evan Handler, attore newyorkese che ha alle spalle una lunghissima carriera televisiva in serie di successo, da Law & Order a Six Feet Under, da West Wing all’ultima, “Californication”, martedì 7  e mercoledì 8 luglio era a Trieste, tappa delle vacanze estive insieme alla moglie italiana, Elisa Atti, chimico, e alla figlioletta Sofia di otto anni e mezzo.
Una due giorni “gastronomica”, quella triestina, alla ricerca di vecchie ricette che potrebbero presto confluire in un libro. Evan ne ha alle spalle già due, di tutt’altro tenore, in cui racconta la sua battaglia contro la leucemia, poi l’amore e la rinascita.
Sorridente, affabile (pur reduce da un piccolo intoppo sanitario che l’ha portato fino a Cattinara), seduto a un tavolo del Caffè San Marco insieme alla moglie, alla vitalissima Sofia e all’assessore comunale Laura Famulari, amica di famiglia, accetta di fare una chiacchierata prima di lasciare Trieste. Con il ricettario di Maria Stelvio ricevuto in regalo.
«Sono un cittadino italiano - esordisce - che non parla italiano e che non sa niente, o pochissimo dell’Italia, anche se con mia moglie e mia figlia ci vengo ogni anno, d’estate, per un paio di settimane. Visitiamo la famiglia e approfittiamo per fare un giro, due anni fa siamo stati in Puglia. Prima che nascesse Sofia venivamo anche più spesso, almeno tre volte l’anno. Scrivere un libro di ricette originali di diverse città e regioni mi è sembrata una bella scusa per descrivere l’Italia attraverso gli occhi di uno straniero, che è italiano ma è pur sempre uno straniero. Tutto è un po’ cominciato con la cucina di mia suocera...».
Ce lo racconta?
«In realtà quel che so dell’Italia l’ho imparato più da lei e da mio suocero, che da mia moglie. Elisa è un’italiana atipica: è di Molinella in provincia di Bologna, si è laureata a Bologna, poi è andata a Londra, quindi a New York, dove ci siamo conosciuti. Mia suocera fa una pasta, con lo zafferano e il brandy. È strano, ma a New York ho incontrato uno chef che cucina un risotto con gli stessi ingredienti. Gli ho chiesto informazioni e mi ha detto che la ricetta l’aveva imparata da sua nonna, che beveva e utilizzava in cucina il brandy Stock. Ed eccomi qui, ospite di Aldo Stock e del suo “Albero nascosto”».
Prima volta a Trieste?
«Proprio così. La città è molto bella, ma purtroppo sono stato sfortunato. Per un piccolo incidente, ho trascorso metà del mio soggiorno, una giornata su due, all’ospedale di Cattinara. Beh, devo dire davvero nel posto più fresco della città. Niente di grave, ma non ho potuto assaggiare molto della cucina locale. Abbiamo cenato alla Tavernetta: delizioso, ma alla fine abbiamo scelto piatti diversi. E in genere non ho trovato traccia di ricette col brandy Stock».
Di solito sono gli italiani che vivono in America a voler diventare anche americani...
«Per loro è molto più dura. Io, invece, sono italiano per matrimonio. Elisa ed io ci siamo conosciuti nel 2002, un anno dopo ci siamo sposati. Da voi la legge è più semplice: non occorre abitare in Italia, non occorre neppure parlare la lingua...».
Amore a prima vista?
«Da parte sua sì, almeno così dice. Ci siamo incontrati a un party di mio fratello. Lei era ospite, attraverso un amico comune. Viveva a New York e con un budget limitato. Non sapeva niente di “Sex & The City”. Certo, aveva sentito parlare della serie, era un fenomeno popolare, ma non conosceva gli attori. Dopo quella volta, ci siamo incontrati un po’ di volte, Elisa è venuta in California, è così è nato tutto».
Non deve essere stato facile gestire tutto quella popolarità...
«In effetti si è verificata una coincidenza piuttosto divertente. Ho recitato in Sex & The City nelle ultime due stagioni. Quando è uscito il primo episodio, Elisa ed io siamo usciti insieme per la prima volta a New York. Era incredibile: la gente si radunava, urlava, c’erano donne che si mettevano in ginocchio. Dovevamo andare a teatro e non riuscivamo ad attraversare Times Square. Per Elisa è stata un’esperienza nuova, ma anche piacevole. Non era disturbata dalla gente, pensava fosse normale».
Gelosa?
«Io la prendo in giro. Dico: proprio nel momento in cui potevo avere tutte le donne del mondo, ho trovato te. Ma sono stato fortunato, ho fatto la scelta giusta».
Mai infastiditi dalla pressione dei fan?
«Beh, non sono Jack Nicholson. Una volta cenavamo nello stesso ristorante e ho visto che lo facevano uscire da una porta secondaria. Diciamo che noi viviamo i privilegi della fama: non abbiamo mai il problema di dover riservare un tavolo. La gente non mi impedisce di vivere, mi dimostra solo affetto e ammirazione. A volte i fan sono felici per il solo fatto di vedermi, nemmeno si avvicinano. E io non mi sottraggo mai. Foto, dediche, dico sempre di sì, a meno che non siano persone moleste».
Da attore non era spaventato che il personaggio di Sex & The City le rimanesse appiccicato addosso?
«Effettivamente sì, un po’ lo ero. Ma è normale quando reciti in serie che hanno un tale successo. Mi è capitato anche per il ruolo in “Californication”, amico e agente letterario del protagonista, David Duchovny. Sta a te trovare qualcosa di nuovo per cambiare il modo in cui gli spettatori ti vedono».
Nel suo profilo twitter ha scritto “nudist television star”...
«Nei primi venticinque anni di carriera posso aver baciato un’attrice due volte. Dal nudo integrale di Sex & The City, credo di aver recitato senza vestiti e di aver finto più orgasmi di chiunque altro in televisione».
Tra voi del cast di Sex & The City siete ancora in contatto?
«Ormai tutti abbiamo famiglia... In realtà siamo più in contatto con gli scrittori e i produttori della serie. E, personalmente, con Mikhail Baryshnikov. Mia figlia è cresciuta con i suoi video, quando è venuto a Santa Monica, gli abbiamo chiesto se Sofia poteva incontrarlo. Mia moglie, che si tiene sempre lontana dal mondo dello spettacolo, questa volta ha voluto andare anche lei. Siamo diventati amici».
Lei chiama Sofia “la bambina del miracolo”...
«Mi sono ammalato di leucemia a ventiquattro anni, ho subito un trapianto autologo, con le mie stesse cellule, e vari cicli di chemioterapia. Sofia è stata concepita, naturalmente, in un periodo in cui venivo considerato “non fertile”. Più miracolo di così...».
Infatti, il futuro ricettario sarà il suo terzo libro...
«Nel primo, “Time on fire. My comedy of terrors”, racconto la malattia, gli ospedali in cui sono stato, il rapporto con i medici, i familiari, le cure, il ritorno al lavoro. Nel secondo, “It’s only temporary”, è solo temporaneo, con “le buone e la cattive notizie di essere vivi” per sottotitolo, parlo di uno che, nei suoi vent’anni, sopravvive a una malattia mortale, e poi nei trenta e quaranta va alla ricerca dell’amore. Racconto l’incontro con mia moglie e la nostra storia».
Il suo prossimo progetto?
«Comincio a girare subito, appena torno a Los Angeles, nella miniserie in dieci episodi “American Crime Story” sul caso di uxoricidio che vede imputato O.J. Simpson. Sono il celebre avvocato Alan Dershowitz, che lo difese. Nella serie recitano anche John Travolta e Cuba Gooding Jr, che interpreta O.J., ed è coprodotta da Ryan Murphy di “Glee”. Qui, prometto, sarò vestito in modo appropriato».
Cosa le è rimasto di “Sex and The City”?
«La soddisfazione di aver fatto parte non solo di una serie popolarissima, negli anni in cui andò in onda, ma che rappresentò un profondo cambiamento del costume. Per la prima volta le donne vivevano e parlavano liberamente della loro sessualità. Cambiava un’epoca in televisione, non solo in Italia, anche negli Stati Uniti».
twitter@boria_a

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